Questo BTP con cedola al 4,50% e rendimento al 5,02% ricorda i vecchi buoni fruttiferi postali a 30 anni

BTP con cedola al 4,50% e rendimento al 5,02%-Foto da pixabay.com

Oggi sul fronte del risparmio postale il prodotto più longevo è il buono ordinario e dura massimo 20 anni. Andando a ritroso incontriamo il buono dedicato ai minori (max 18 anni) e il buono 3×4 (12 anni). Per investire sulla lunghissima scadenza occorre cambiare tipologia di prodotto come i titoli di Stato, ma non solo. Ad esempio questo BTP con cedola al 4,50% e rendimento al 5,02% ricorda i vecchi buoni fruttiferi postali a 30 anni.

Si tratta di un bond trentennale dal ritorno complessivo niente male e che ricorda i vecchi, cari buoni postali degli anni Ottanta e Novanta. Erano prodotti che coniugavano al meglio due parametri essenziali di ogni buon investimento. Vale a dire la forza del tempo a un ricco interesse di base, per cui a scadenza il montante finale prodotto era alquanto interessante. Oggi la gran parte dei buoni è di media, media-lunga durata, con rendimenti offerti ai loro massimi di periodo.

Il BTP con scadenza 2038 e cedola al 4,50%

La settimana appena chiusa è stata foriera di nuove emissioni sul fronte dei titoli di Stato a breve (BOT), media e lunga distanza (BTP). Per l’esattezza si è trattato più spesso di ulteriori tranches di titoli già in circolazione più che di emissioni nuove. Come sono andate le rispettive aste?

Sul BOT a 12 mesi (scadenza 14 novembre 2024) il rapporto di copertura è stato di 1,33 e il rendimento lordo di aggiudicazione al 3,86% (3,94% all’asta di ottobre).

Sul medio termine le emissioni hanno riguardato una durata a 3 (15 settembre 2026) e due a 7 anni (1° marzo e 15 settembre 2030). In questi casi i rendimenti a scadenza si sono attestati, nell’ordine, al 3,75%, 4,07% e 4,21%.

Due distinte tranches, infine, hanno riguardato il lunghissimo periodo. Una attiene al BTP con scadenza 1° marzo 2038, l’altra il 1° ottobre 2053. Il bond a 15 anni paga una cedola annua lorda del 3,25% ma rende il 4,83% grazie al prezzo sotto cento (84,22 alla chiusura di venerdì).

Il titolo trentennale (ISIN: IT0005534141) stacca una cedola annua lorda del 4,50% mentre rende il 5,02% annuo lordo a scadenza. Il bond, infatti, ha chiuso la scorsa ottava di contrattazioni al corso di 92,90 centesimi.

Sempre in tema di emissioni ricordiamo anche quella di CDP con cedole ogni 3 mesi e interessi sia fissi che variabili.

Questo BTP con cedola al 4,50% e rendimento al 5,02% ricorda i vecchi buoni fruttiferi postali a 30 anni

Dunque, come si evince siamo in una fase dei mercati in cui i rendimenti sul reddito fisso sono generosi già sul tratto corto e medio dell’omonima curva.  Perchè, quindi, esporsi ai rischi connessi al lunghissimo termine solo per assicurarsi uno scarso punto percentuale in più?

La domanda è fondata e più che legittima.

Eppure se dosato, approcciato e maneggiato con molto equilibrio e la giusta cautela il bond a 30 anni potrebbe rivelare più di qualche gioia. Primo perché la cedola annua è robusta di suo: nella “peggiore delle ipotesi” il titolo stacca il 3,9375% netto. Poi si aggiunge il prezzo sotto la pari, che in certo senso “fa sempre comodo” e genera una plusvalenza (quella sicura è solo nel 2053). Al riguardo ricordiamo che niente e nessuno può impedire che i corsi possano ulteriormente scendere in futuro.

Tuttavia, terza considerazione, pensiamo anche all’ipotesi opposta. Data la duration modificata del bond al 15,36, cosa potrebbe succedere domani se oggi ci trovassimo al picco della stagione del rialzo dei tassi?

Mille strategie operative con il titolo di Stato a 30 anni

Il titolo, quindi, si presta potenzialmente a mille strategie operative.

Il rendimento totale del bond (cioè quello complessivo da oggi a scadenza) è del 133% circa.

Parimenti si potrebbe pensare di tenerlo in portafoglio per una manciata di anni fino a quando, per esempio, la BCE non riporta i tassi al 2,50% o giù di lì. S’incasserebbe una ricca cedola annua, attendendo nel frattempo la risalita dei corsi sul mercato secondario.

Sarebbe il classico ‘investimento riuscito’, che tuttavia presuppone alta propensione al rischio (e se i corsi scendessero ancora?) e una grande considerazione di fondo. Ossia che nel frattempo restino almeno invariati (cioè che non peggiorino) gli altri rischi connessi ai titoli di Stato. Vale a dire? Il rischio emittente, per esempio.

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