Che sia per un nuovo lavoro o per motivi personali, dare le dimissioni volontarie è sempre più frequente

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Forse lo smart working ha veramente cambiato la nostra vita. Abbiamo, persino, rivoluzionato le nostre case con postazioni di telelavoro. Probabilmente sentiamo ancora quel senso di insicurezza che ci hanno regalato due anni e più di pandemia. Il fatto è che dai dati di un’indagine condotta dall’Aidp, l’Associazione ltaliana Direzione Personale emerge un quadro inedito sul lavoro dipendente. Ben il 60% delle aziende oggetto del sondaggio ha ricevuto le dimissioni volontarie di propri dipendenti. Il 75% di queste sono state “fulmini a ciel sereno” quindi non preannunciate all’azienda. L’Italia, quindi, si pone nella grande tendenza globale chiamata “great resignation”. Si è, infatti, registrata un’impennata delle dimissioni anche negli Stati Uniti ed in Europa. Vediamo cos’è cambiato in questo decennio.

Che sia per un nuovo lavoro o per motivi personali, dare le dimissioni volontarie è sempre più frequente

Abbiamo accennato all’ultimo decennio perché secondo studi universitari inglesi la tendenza a licenziarsi sembra un’escalation che parte già dal 2009. Solo il 2020 ne ha visto un parziale arresto. Il paragone con gli USA sembra però reggere solo con opportune precisazioni. Il tasso di disoccupazione americano è più basso che in Italia pertanto si giustificherebbe maggiormente questo desiderio di “trovare un posto migliore”. Altri dati, questa volta di un’autorevole società di recruiting, rilevano come:

  • il 29% di coloro che hanno un impiego ne stanno già cercando uno nuovo;
  • un altro 24% di lavoratori che sta meditando di cambiare impiego.

Inutile dire che la fascia di età che esprime questa voglia di cambiamento è proprio quella 25-34 anni.

Le dimissioni e la libertà di cambiare

I giovani sembrano aver rinunciato al mito del posto fisso per tutta la vita in un’unica azienda. I recruiters riportano come fra i candidati ad un lavoro fisso, sia ricorrente la richiesta di esser assunti come freelance. Di sicuro i sociologi avranno un gran da fare a spiegare questo fenomeno, forse figlio della pandemia. Sembra palese comunque che i valori siano radicalmente cambiati. Se fino a qualche anno fa si lottava per l’art.18 e per non esser licenziati, ora si opta per la possibilità di scegliere e cambiare. Il posto fisso è diventato sempre più un miraggio e il cosiddetto popolo dei precari sembra avervi rinunciato. In Italia l’altra faccia della medaglia di essere freelance sembra la possibilità di guadagnarne in qualità della vita. La precarietà è anche in qualche modo libertà e possibilità di autogestirsi.

Dal punto di vista delle aziende

Negli Stati Uniti si studiano da tempo le politiche aziendali di “talent retention”. Ossia come trattenere i talenti. L’azienda, nella maggior parte dei casi, pare soffrire il fenomeno “great resignation “. Queste, infatti, devono spendere tempo e risorse interne per la selezione e la formazione di nuovo personale. Quindi a conclusione si può osservare che sembrano ribaltati i ruoli soprattutto per impieghi dirigenziali. Ora sono anche le aziende ad essere scelte dai propri lavoratori. Questo, forse, è uno dei tanti effetti paradossali della pandemia.
Che sia per un nuovo lavoro o altri motivi, la rassegna delle dimissioni sembra entrata a far parte della vita professionale di molti lavoratori.

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