L’opera lirica come sguardo sul mondo: conversazione con il tenore Francesco Napoleoni

Francesco Napoleoni

Oggi intervistiamo un giovane artista del mondo del canto e dell’opera lirica.

L’intento è far scoprire al nostro pubblico quanto talento, forza di volontà e gioia di vivere, insieme alla modestia, possano convivere in un artista dell’opera come Francesco Napoleoni.

Francesco Napoleoni è un tenore italiano che da 5 anni persegue la carriera operistica con entusiasmo e grandi risultati.

L’opera lirica come sguardo sul mondo. Formatosi in età giovanissima al Conservatorio della sua città natale, Terni, prosegue gli studi a Milano col Maestro V. Terranova. Successivamente sviluppa e consolida la tecnica vocale in Spagna grazie al tenore Antonio Gandia.

Si specializza presso l’Accademia internazionale del Festival di Puccini di Torre del Lago, un’occasione che gli da l’opportunità di entrare a contatto con la realtà del palcoscenico. Oggi collabora con le più importanti Fondazioni e teatri lirici italiani e internazionali: Festival Puccini, Luglio Musicale Trapanese, Teatro Coccia di Novara, Teatro Goldoni di Livorno, Teatro del Giglio di Lucca, Teatro Verdi di Pisa, Changsha Meixihu International Culture and Art Centre.

Tra i suoi recenti debutti ricordiamo Goro nella Madama Butterfly presso il Festival di Torre del Lago, il ruolo di Don Basilio de’ Le nozze di Figaro al teatro Goldoni di Livorno e che sarà ripreso al Teatro Verdi di Pisa e al Giglio di Lucca per la stagione 2020/2021.

L’opera lirica come sguardo sul mondo: conversazione con il tenore Francesco Napoleoni

Signor Napoleoni, per prima cosa le chiedo come si è manifestata la passione per il canto e soprattutto per l’opera lirica?

La passione per il canto si manifesta da piccolissimo, quando ascoltai per la prima volta in televisione un concerto dei Tre Tenori, Pavarotti, Carreras e Domingo. Era l’estate del 1990, avevo quasi sei anni, e mio padre ricorda che mi fermai quando sentii Domingo cantare “E lucevan le stelle” dalla Tosca di Puccini. Mi appassionai da solo, perché nessuno nella mia famiglia ascoltava musica classica e opera. Quando in prima elementare mi chiesero cosa volevo fare da grande, la mia risposta fu “il tenore”. Poi la passione è aumentata pian piano…

Dovesse descrivere in poche parole il suo percorso per diventare un cantante d’opera che oggi si è realizzato?

Lunghissimo, senz’altro la prima parola che mi viene in mente. Già all’età di 15 anni prendevo lezioni di canto nella mia città. Poi sono stato seguito da una figura per me fondamentale, Corrado Fedrighi, compositore e padre musicale per me. Anche se a 20 anni sono dovuto andare via per studio, mi sento molto legato a lui. Un uomo che mi ha veramente aiutato, ha fatto nascere in me la passione e la dedizione per poter realizzare questa carriera, consigliandomi di studiare la musica, pianoforte e cercare i maestri giusti.

Poi il percorso di canto è iniziato nelle mie zone con un soprano armeno, la signora H. Vartanian. Da lì mi sono spostato a Milano per seguire le prime lezioni private col Maestro V. Terranova, fino ad arrivare al Maestro A. Gandia, oggi un caro amico.

A proposito di de l’opera lirica come sguardo sul mondo, le chiedo se, secondo Lei, c’è un’età più giusta per iniziare a cantare?

No, assolutamente no! Ogni voce è diversa dalle altre, ogni cantante è un mondo a sé. La difficoltà di un maestro o di un conservatorio è capire che mondo vocale si ha davanti. Un tenore che ha cominciato con ruoli da leggero, non significa che non potrà cantare il verismo un giorno. L’unica cosa che bisogna avere sempre salda è la tecnica, ma non c’è una regola univoca.

Francesco Napoleoni

L’evento che ha dato inizio alla sua carriera?

Pur avendo cantato in occasioni che io definisco “giovanili” (un Elisir d’Amore a 25 anni in un Festival a Roma), credo che la carriera inizi quando si canta per un Ente o Fondazione o Teatro di tradizione italiana. Ho sentito che il lavoro di cantante iniziava veramente nel 2015, quando debuttai ne “La Vedova allegra” di Franz Lehár al teatro del Giglio a Lucca. Il ruolo era piccolo, attoriale. Ricordo che dietro le quinte -il sipario si apriva con i cantanti sulla scena- io non stavo pensando a ciò che dovevo cantare. Per un attimo pensai che il sipario si sarebbe aperto e da quel momento non si sarebbe chiuso più. Questo è l’augurio che feci a me stesso.

Quanto sono state importanti per la sua crescita artistica l’esperienza di studio all’estero e i progetti di Opera Studio in Italia?

Fondamentale è stato l’incontro con Antonio Gandìa, ultimo allievo del Maestro e tenore Afredo Kraus a cui tramandò tutto il suo sapere. Con lui mi sono trovato dinnanzi alla verità che per costruire la voce ci vogliono delle basi tecniche forti.

Importante anche l’esperienza delle due opere studio in Italia (LTL Teatro del Giglio e MOF Mascagni Opera Festival) dove ho debuttato in un ruolo non adatto alla mia vocalità. Eppure quell’esperienza, la presenza dell’orchestra che suonava, mi ha fatto capire cosa la mia voce poteva realmente cantare per farne una carriera professionale. Mi ha aiutato a direzionare il mio repertorio e capire dove la voce si sarebbe espressa con più validità e con un riscontro di pubblico e critica.

Secondo la sua opinione, cosa è necessario oggi a un ragazzo con questa passione per farsi spazio nel mondo del canto e dell’Opera?

Talento vocale e musicale sono importanti, ma sono tanti i talenti necessari al canto. Per prima cosa accettare ciò che si è, esserne felici, non mollare mai e avere una spinta interiore incredibile insieme a serietà e affidabilità.

Torniamo all’emozione del palcoscenico. Quale teatro le ha regalato le emozioni più forti?

Nel 2016 l’Accademia di Perfezionamento del Festival Puccini mi diede l’opportunità di essere scritturato sin da subito. Un’emozione particolare l’ho avuta con la Tosca diretta da Giancarlo del Monaco. Lui ci raccontava degli aneddoti che aveva vissuto nella sua lunga carriera e le emozioni vissute da piccolo a fianco del padre Mario. Lì ho vissuto un periodo particolare, dove ho cantato con tanti grandi artisti internazionale.

Poi in Cina, a Changsha, dove interpretavo Pang nella “Turandot” di Puccini. Ricordo l’apertura del II atto, seduto a terra, vedere questo splendido teatro moderno, vivere quell’atmosfera e cantare quelle parole “E potrei tornar laggiù, tornar laggiù…”

Una domanda sulla tecnica del canto lirico: c’è secondo lei un elemento nella tecnica che prevale sugli altri?

La difficoltà più grande sta nel raggiungere l’elemento del legato, cioè infilare come con una perla dietro l’altra la voce senza mollare mai la linea del fiato. Appoggio e sostegno non devono mai mancare, la voce deve rimanere morbida e omogenea, le parole devono essere articolate e le vocali ben pronunciate. Una linea che scorre fino alla fine, dove la voce non si ferma mai e vibra.

Cosa pensa della situazione attuale vissuta dai teatri italiani e in particolar modo i teatri dedicati all’opera lirica?

Dopo questo stop forzato ho ripreso la mia attività tra luglio e agosto al Festival Puccini. Abbiamo lavorato in condizioni rigide, con protocolli che prevedevano la mascherina durante le prove, senza solo per cantare. Si lavorava con grande tensione, ma anche con energia rinnovata per la riapertura dopo tanti mesi. Sebbene Conte abbia riaperto i teatri, viviamo comunque una grande preoccupazione per il futuro.

In Italia i teatri più importanti come Milano, Firenze, Napoli, hanno riaperto con cartelloni, recite e pubblico ridotti ma con coraggio. Vorrei che questa voglia si espanda anche ai piccoli teatri di tradizione. C’è bisogno che il sipario non cali definitivamente.

Anche se stiamo ripartendo, spero che questo virus non si sia insediato solo nei teatri. Ciò che vedo è che la prima cosa che viene fermata è l’arte.

Come il teatro d’opera può ai nostri giorni dialogare con i giovani e quale può essere il suo ruolo?

Si sente spesso di registi che vogliono fare per forza regie moderne e contemporanee. Ma il problema non è la scelta del contemporaneo in sé, ma pensare che i giovani si avvicinino all’opera grazie alla messa in scena. Il giovane si appassiona al teatro e alla lirica se la musica stessa gli dà una scintilla, se si è trafitti dalla musica. Il lavoro registico non può credere che contestualizzare e rendere moderna la regia avvicini i giovani.

Parlare d’arte in tv, cercando di avvicinare i giovani parlando di musica classica e con ospiti cantanti che raccontano la loro storia. Avvicinare raccontando della grandezza della musica e dei suoi compositori come si parla dei grandi artisti.

C’è stato un incontro artistico, o più di uno, che le ha cambiato la vita?

Il tenore Antonio Gandia è stato fondamentale. Poi senz’altro mia moglie, che è un soprano e la persona che mi aiuta costantemente. Un punto di riferimento, non solo per il legame sentimentale, ma anche per lo studio e per i miglioramenti degli ultimi anni.

Qualche nome di tenori del passato cui si è ispirato e continua a ispirarsi.

Ammiro molti cantanti. Alcuni sono per me dei grandi riferimenti tecnici, ma i due artisti che mi ispirano di più sono Giuseppe di Stefano e Fritz Wunderlich.

Ringraziamo il tenore Francesco Napoleoni per questa intervista “L’opera lirica come sguardo sul mondo” e speriamo di poter sentire presto la sua voce in uno dei nostri teatri.

Il sito web di Francesco Napoleoni è https://francesconapoleoni.com/

 

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