FED, crisi finanziarie e banche: ecco una spiegazione semplice di cosa sta succedendo e cosa si potrebbe profilare all’orizzonte

FED, crisi finanziarie e banche-Jerome Powell Presidente FED

Talora si verificano nell’economia eventi tra loro concatenati, solo apparentemente imprevisti ed inspiegabili.

Spesso esiste invece un preciso filo rosso conduttore, tra diversi eventi. Legato sopratutto a lezioni che la storia ci ha già insegnato e che, talora, troppo spesso vengono dimenticate. Per meglio chiarire la situazione, dobbiamo quindi porci una serie di domande. Esistono indicatori predittivi dell’economia, che potrebbero dare indicazioni su quella statunitense? Perchè una banca può entrare in crisi anche in fasi di espansione economica?

Il tasso FED attuale e previsto è corretto?

Ma procediamo con ordine, tentando di fornire una interpretazione il più possibile chiara anche per i non addetti ai lavori. FED, crisi finanziarie e banche: ecco una spiegazione semplice di cosa sta succedendo e cosa si potrebbe profilare all’orizzonte.

Leading indicators: quali prospettive per gli Usa?

Spesso si sente parlare di leading indicators. Si tratta di indicatori che possono predire i futuri trend economici di un Paese o di un’area geoeconomica.

Per gli USA alcuni indicatori tradizionali, come il Cli dell’OCSE o la curva dei rendimenti, indicavano e indicano tuttora una fase che potremmo definire tra lo stagnante e il recessivo.

Talora la valenza di siffatti indicatori è stata messa in dubbio.

Ma un altro indicatore, probabilmente più affidabile in termini di probabilità statistica, aveva già dato alcune indicazioni, come abbiamo evidenziato sin dallo scorso febbraio.

Una crisi bancaria, però, potrebbe verificarsi anche durante una fase espansiva dell’economia

Durante una fase recessiva dell’economia, una banca potrebbe subire delle perdite sulle attività su cui ha investito.

Ad esempio aziende, cui ha prestato denaro.

Nella situazione attuale, però, si tratta di titoli di Stato. Peraltro è attività abbastanza comune per una banca investire sui titoli di Stato.

A tale proposito va evidenziato come il valore di questi si riduca durante una fase di tassi crescenti. Quindi una situazione che ben si può verificare anche durante fasi espansive.

Nel caso in questione, la SVB aveva investito in parte in titoli di Stato e in parte su attività del settore tecnologico.

Essendosi diffuse voci di problematiche relative a tale settore, molti correntisti si sono affrettati a richiedere indietro il proprio denaro.

Ma, per far fronte a tale richiesta, la Banca ha dovuto liquidare titoli di Stato ad un prezzo inferiore a quello pagato. E, conseguentemente, con il ricavato non è riuscita a far fronte al totale delle richieste da parte dei clienti che chiedevano il proprio denaro. Di qui il fallimento.

In situazione analoga si trova il Credit Suisse. A fronte di perdite sugli asset rappresentati da titoli di Stato, la Banca necessiterebbe di una ricapitalizzazione, ma il principale azionista pare contrario.

Questo tipo di situazione non riguarda quello che successe con Lehman Brothers. In quel caso si trattava di titoli tossici, legati ai cosiddetti mutui subprime, di cui peraltro era  pieno il settore bancario internazionale.

Le conseguenze del fallimento di una banca possono essere molteplici.

Ovviamente perdita di posti di lavoro di chi lavorava in quella Banca. Ma anche fallimento di aziende che si finanziavano con quella Banca e ulteriore perdita di posti di lavoro.

La FED ne terrà conto?

FED, crisi finanziarie e banche. Prospettive sui tassi: un’analisi non discrezionale

Si è soliti affermare che una Banca centrale dovrebbe guardare all’economia nel suo complesso, e non a singole vicende di singole aziende.

Ma è proprio considerando, anche a prescindere completamente dalle singole vicende bancarie, la prospettiva economica generale, che possiamo pervenire ad alcune considerazioni.

Il tasso attuale della FED è pari al 4,75%  e si prevedevano, prima dei recenti crolli bancari, ulteriori rialzi.

Ma esiste un modo per capire se si tratta di un tasso corretto?

Un’indicazione, alla luce della quale, senza giudizi discrezionali, si possa affermare che si tratta di un tasso troppo basso e troppo alto.

La risposta è positiva. O meglio, esistono diverse risposte.

Sono infatti state studiate apposite formule per calcolare un tasso di equilibrio ideale per l’economia di ogni Paese o area geoeconomica.

Tra le più note, la cosiddetta Taylor rule.

In una delle sue formulazioni più semplici, eccola:

r = r * + (0,5 · (PILe – PILt) + 0,5 (ie – iot) )

Dove:

r = tasso di interesse obiettivo
r * = tasso di interesse neutro (normalmente 2%)
PILe = PIL atteso
PILt = Andamento del PIL a lungo termine

ioe = tasso di inflazione atteso
iot = tasso di inflazione neutro (normalmente 2%). In questa formula va considerato un andamento del PIL a lungo termine pari al 3%. Considerando, quindi, i dati dell’economia USA, abbiamo: r = 2% + (0,5 · (2,9% – 3%) + 0,5 · (6% – 2%)) = 4,05%.  In base  a tale formula il tasso FED pare collocarsi troppo in alto e, se non a livello generale, potrebbe provocare qualche problema nei settori dell’economia maggiormente sensibili alla dinamica dei tassi, o comunque legati ad esposizioni su titoli obbligazionari a tasso fisso. Si tratta di quanto sta infatti verificandosi in questi giorni.

FED, crisi finanziarie e banche studio a cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT

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