Esiste un indicatore migliore della curva dei rendimenti nel predire recessioni negli USA? L’importante scoperta

Inflazione, recessione e curva dei rendimenti

Molti analisti si sono interrogati e tuttora si interrogano sulla possibilità di prevedere periodi di recessione negli USA. Tradizionalmente si utilizza, a tal fine, come principale indicatore, la curva dei rendimenti dei titoli di Stato.

Strumento tradizionalmente usato anche dalla FED. Ma esiste un altro strumento di analisi ancora più affidabile?

La risposta è positiva ed in questo articolo spieghiamo le motivazioni, intrinseche alle modalità di funzionamento del ciclo economico. Esiste un indicatore migliore della curva dei rendimenti nel predire recessioni/rallentamenti negli USA? L’importante scoperta.

La curva dei rendimenti come elemento predittivo

La curva dei rendimenti serve a confrontare i tassi relativi alle diverse scadenze dei titoli di Stato di un determinato Paese. Solitamente questa curva è positivamente inclinata, a denotare un’impostazione positiva dell’economia. Eccezionalmente questa curva invece si inverte al ribasso, ossia presenta tassi a breve o medio termine più elevati di quelli a lunga scadenza.

Senza entrare in eccessivi tecnicismi, va chiarito che questo segnale tende ad anticipare una svolta in senso ribassista dell’economia. Solitamente a tal fine è ritenuta particolarmente importante la differenza tra la scadenza biennale e quella decennale.

A partire dal dopoguerra questo indicatore ha anticipato le principali fasi recessive dell’economia USA. Tuttavia alcuni analisti ritengono, almeno in parte, inficiata l’efficacia predittiva della curva, non fosse che in considerazione del potenziale effetto distorsivo, che potrebbe essere causato dalle politiche monetarie delle Banche Centrali.

Ed allora ecco un altro importante strumento di analisi.

Il tasso di inflazione ed il suo significato predittivo

Esiste, quindi, un altro importante indicatore predittivo, che possa sostituire o integrare la curva dei rendimenti?

La risposta sta nel tasso d’inflazione.

Una ricerca del National Bureau of Economic Research (NBER) dimostra che ogni volta che il tasso d’inflazione ha superato la soglia del 5%, in breve tempo è seguita una fase recessiva/di rallentamento dell’economia.

Il seguente grafico (fonte NBER) è quanto mai eloquente.

 

Inflazione e picchi superiori al 5% e fase recessive

Inflazione e picchi superiori al 5% e fase recessive-fonte NBER

I periodi di inflazione sono contrassegnati in grigio e i picchi oltre il 5% da circoletti rossi.

Notiamo anche, circostanza molto interessante, che quasi sempre questi periodi di recessione sono preceduti anche da un ribasso del tasso d’inflazione, ma cerchiamo di capire le motivazioni di questi fenomeni.

Un tasso di inflazione alto significa che l’economia si è surriscaldata, ma questo implica anche un ridotto potere d’acquisto della moneta.

Ne consegue, sopratutto se le dinamiche salariali non seguono il tasso d’inflazione, che le persone che si trovano ad avere nominalmente le stesse somme di denaro, possono acquistare una minor quantità di prodotti e di servizi.

In altri termini, si determina una minor domanda di beni e servizi, conseguente al ridotto potere d’acquisto. Ed è quindi naturale che l’economia tenda, quindi, a contrarsi.

Esiste un indicatore migliore della curva dei rendimenti nel predire recessioni negli USA? La statistica

Ad ulteriore dimostrazione di quanto sopra spiegato, ecco una scaletta di questi picchi inflazionistici e delle conseguenti recessioni (fonte NBER):


Picco inflazione        periodo recessivo        durata

13,2%                    feb 1945 ott 1945        8 mesi

19,7%                    nov 1948 ott 1949       11 mesi

9,3%                      lug 1953 mag 1954     10 mesi            

5,8%                      dic 1969 nov 1970       11 mesi

11,8%                    nov 1973 mar 1975       1 anno e 4 mesi

14,8%                    gen 1980 lug 1980        6 mesi

11%                       lug 1981 nov 1982        1 anno e 4 mesi

6,3%                      lug 1990 mar 1991        8 mesi

5,6%                      dic 2007 giu 2009         1 anno e 6 mesi.

Risulta quindi evidente, a partire dagli anni ‘40, l’efficacia predittiva di tale indicatore.

Va anche osservato che vi sono stati periodi di recessione, senza il raggiungimento di un picco di inflazione oltre il 5%. Ma non vi sono stati picchi oltre la soglia del 5%, non seguiti da fasi recessive.

La situazione attuale

L’indicatore IPC, ossia indicatore dei prezzi al consumo, su base annua negli USA ha raggiunto un massimo nel luglio del 2022, a 9,1%.

Per poi ridiscendere nei mesi successivi, sino al 6,5% di gennaio 2023.

E tra aprile e settembre del 2022 in effetti abbiamo conosciuto una contrazione del PIL USA.

Si è quindi verificata proprio quella situazione, descritta nei grafici e nella tabella, di cui sopra.

Peraltro unitamente ad una curva dei rendimenti USA inclinata in modo vistosamente negativo. Possiamo quindi concludere che, anche se nessun indicatore potrà mai dare certezze al 100%, siamo comunque in presenza di un indicatore attendibile statisticamente, usato anche da solo, al fine di proiettare possibili fasi recessive/rallentamento (cosiddetto atterraggio morbido) nell’economia a stelle e strisce.

A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Boxe “PLT 

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