Divorzio: la ex moglie va mantenuta a vita?

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Se ha contribuito alla formazione del patrimonio del marito è proprio così, ha diritto al mantenimento a vita.

Sappiamo che secondo quanto previsto dalla legge, con la sentenza di scioglimento (o di cessazione degli effetti civili) del matrimonio, il Tribunale può disporre l’obbligo, in capo ad uno dei due ex coniugi, di somministrare periodicamente, a favore dell’altro, un assegno.

Questo quando il coniuge “più debole”, non ha o non può procurarsi mezzi adeguati.

Spesso la figura del coniuge debole è rappresentata dalla donna. Questo perché, dopo il dispendio di anni della vita per crescere i figli, si ritrova con un matrimonio finito alle spalle. E non solo, ma con la difficoltà di inserirsi poi nel mondo del lavoro.

Divorzio: la ex moglie va mantenuta a vita?

Quindi, come detto in precedenza, se la moglie ha contribuito alla formazione del patrimonio del marito, ha diritto all’assegno divorzile e dunque ad un mantenimento a vita.

Ma andiamo per ordine! Come si calcola l’importo di questo assegno?

Diversi sono i parametri cui la legge sul divorzio (art. 5 l.898/1970) fa riferimento ai fini del computo.

In linea generale, fino al 2018, in tema di assegno divorzile si è fatto riferimento al principio del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

Tale principio è stato messo poi in discussione, nel maggio del 2017, da una sentenza della Corte di Cassazione, secondo la quale il parametro di riferimento, in tema di assegno, dovesse essere quello dell’indipendenza economica dell’ex coniuge richiedente.

Auto responsabilità economica: la sentenza “Grilli”

Con questa sentenza si svincola l’attribuzione dell’assegno dal criterio della conservazione di vita in costanza di matrimonio per legarlo a quello dell’indipendenza economica dell’ex coniuge richiedente, il quale dovrà dare prova della mancanza dei mezzi adeguati e/o dei motivi oggettivi per poterseli procurare.

Pertanto, il giudice sarà tenuto ad indagare sulla auto responsabilità economica di ciascun ex coniuge sulla base di parametri, elencati dalla stessa Cassazione, da cui poter desumere l’autosufficienza.

Da tale orientamento, del tutto nuovo, sono nati una serie di ricorsi per chiedere la revisione dell’assegno e conseguente riduzione o azzeramento del contributo.

Il criterio c.d. composito

Rimessa la questione alle Sezioni Unite, il contrasto è risolto dalla sentenza 18287/2018.

Le SU hanno infatti affermato il principio secondo cui l’assegno di divorzio, ha finalità assistenziale, compensativa e perequativa.

Per il suo riconoscimento, quindi, deve essere effettuata una valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali.

Maggiore rilievo è dato al contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale.

Ecco, quindi, che è possibile affermare che con il divorzio la ex moglie va mantenuta a vita, poiché ha contribuito alla formazione del patrimonio del marito.

I parametri su cui fondare l’entità del mantenimento consistono nella durata del matrimonio, le potenzialità reddituali future e l’età dell’avente diritto.

Tale criterio composito si basa sui principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che permeano l’unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo.

L’assegno non è più considerato un mezzo per consentire al coniuge il ripristino del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ma nemmeno un mero strumento assistenziale per assicurare al coniuge privo di mezzi un’esistenza libera e dignitosa.

Le Sezioni Unite ne hanno quindi valorizzato la funzione compensativa, senza tuttavia fargli perdere la sua naturale funzione assistenziale.

Il pregio di questo criterio? Finalmente un concreto riconoscimento del contributo del coniuge alla realizzazione della vita familiare.

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