Ai fini del limite all’accesso per verifica fiscale non rileva la destinazione promiscua dell’immobile, bensì dei locali

Agenzia delle Entrate

Ai fini del limite all’accesso per verifica fiscale non rileva la destinazione promiscua dell’immobile, bensì dei locali. Studiamo il caso

La Cassazione, con l’Ordinanza n. 6861 dell’11/03/2021, ha chiarito un caso di particolare rilevanza giuridica, quale quello dell’accesso al domicilio per motivi di controllo fiscale. Nella specie, la Commissione Tributaria Regionale aveva rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate. Il Giudice rilevava che l’accesso dei funzionari era stato eseguito in un immobile nel quale, oltre ad esservi la sede societaria, risiedevano anche  persone fisiche. A tali soggetti, infatti, la società aveva concesso in locazione l’uso dei locali. Da qui, secondo la sentenza, l’illegittimità dell’attività di verifica, in quanto eseguita in carenza delle autorizzazioni prescritte dalla legge. Contro la pronuncia l’Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per cassazione.

Con una prima censura l’Amministrazione finanziaria deduceva che l’accesso era stato correttamente eseguito presso la sede sociale.  Il soggetto che abitava parte dei locali, del resto, non era il contribuente, ma un terzo in forza di comodato concluso con la stessa società. Con altro motivo di impugnazione l’ufficio deduceva poi che la CTR aveva errato a considerare come se si trattasse di un locale unico utilizzato promiscuamente. Il giudice non aveva però considerato  la conformazione dei luoghi e, in particolare, che l’immobile era diviso in piani e locali autonomi. L’immobile, peraltro, era solo in parte utilizzato per uso abitativo e, durante la verifica, non vi era stato accesso alla zona destinata a tale uso.

La decisione

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Secondo la Suprema Corte le censure erano fondate. Evidenziano i giudici di legittimità che, in tema di autorizzazione all’accesso in locali adibiti anche ad abitazione, l’uso “promiscuo” va attentamente considerato. Esso ricorre  senz’altro nell’ipotesi in cui gli ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale. Ma anche ogni qual volta l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi. Il concetto di «locali destinati all’esercizio» delle attività oggetto di verifica è meno ampio di quello di “immobile”, individuando esclusivamente quelli dove l’attività viene esercitata. I locali destinati alle attività professionali possono del resto costituire parte degli immobili nei quali si trovano.

Si pensi, ad esempio, al caso in cui si trovino in condomini nei quali sia presente anche l’abitazione del contribuente. E’ necessario, conclude la Corte, che i locali siano adibiti «anche ad abitazione», e non che lo siano gli immobili nei quali essi si trovano. In sostanza, ai fini del limite all’accesso per verifica fiscale non rileva la destinazione promiscua dell’immobile, bensì dei locali.

Conclusioni

La decisione della Commissione Tributaria Regionale era quindi errata, fondandosi solo sul dato formale dell’esistenza di un contratto di locazione. Al fine di verificare se fosse necessaria l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria per l’accesso domiciliare, occorreva invece un altro tipo di valutazione. Occorreva infatti valutare se gli ambienti fossero realmente e contestualmente utilizzati per la vita familiare e l’attività professionale. La CTR aveva poi omesso ogni valutazione sulla circostanza che l’immobile era stato concesso in comodato a terzi, estranei all’attività di verifica. Altro elemento idoneo ad escludere la necessità di autorizzazione.

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