3 ragioni per cui gli analisti osservano l’Argentina di Javier Milei

Bandiera argentina-Foto da pixabay.com

Dopo anni di parziale dimenticanza collettiva, l’attenzione di molte testate è tornata a puntare i fari sull’Argentina. Oltre ai tratti caricaturali addossati all’eccentrico Presidente Javier Milei, si nasconde un reale interesse, e forse timore, per l’eccezionalità di una proposta politica dirompente.

L’economia argentina ha tratti distintivi unici rispetto alle altre economie mondiali: sia per la sua vocazione agro esportatrice, che per il modello politico unico assunto a partire dal peronismo. Il grande dinamismo economico nel 1913 permise ai suoi cittadini di raggiungere un Prodotto Interno Lordo pro capite maggiore a quello di Germania, Francia o Italia. Ma la stessa dipendenza dai mercati mondiali sancì l’inizio della sua decadenza con la crisi del 1929.

Secondo il liberista Milei, però, la decadenza non è un destino. Ed è proprio su questo spunto ideale che il governo cerca la promulgazione della Ley Bases (sostituta della bocciata Ley Omnibus). Un riferimento all’opera “Las Bases” di Alberdi, uno dei fondamenti della costruzione istituzionale dell’Argentina dell’Ottocento e basata sul principio della libertà dal colonialismo e dalla priorità temporale del benessere economico nel conseguimento dello sviluppo culturale ed umano. Ma si sono così almeno 3 ragioni per cui gli analisti osservano l’Argentina del presidente più liberista degli ultimi decenni.

Obiettivi rivoluzionari: una sfida possibile?

La prima ragione riguarda la promessa del superamento del tradizionale deficit fiscale e commerciale argentino. La questione è stata affrontata immediatamente dal neopresidente ed ha già portato a dei risultati tangibili. Per la prima volta dal 2012 l’Argentina ha realizzato un avanzo finanziario equivalente a 576 milioni di euro (oltre ad un leggero surplus commerciale). Questo è stato ottenuto tramite un forte taglio delle spese statali. Eliminazione dei fondi fiduciari pubblici, privatizzazione delle aziende di Stato e forte riduzione degli onnipresenti sussidi per il consumo di energia e al gas sono stati elementi chiave. A costo, ovviamente, di un percepibile aumento della povertà e di un aumento della contestazione sociale. Basti pensare alla recente mobilitazione contro la privatizzazione delle università, oggi ancora totalmente gratuita in Argentina.

La seconda ragione riguarda la proposta di dollarizzare l’economia, ed è stato dichiarato dal governo obiettivo di lungo termine. Il motivo alla base è quello di evitare la tentazione di stampare Pesos argentini come risposta scontata alle crisi. Alla base dell’inflazione, d’altro canto, c’è l’aumento della liquidità immessa nel sistema. Evidentemente questo implicherebbe la riduzione di uno degli attributi della sovranità economica, ma non sarebbe uno scenario nuovo in Sud America. Anche in Ecuador si utilizza il dollaro. La scelta però viene normalmente assunto nei confronti della valuta del maggior partner commerciale (che per l’Argentina è il Brasile), costituendo così un progetto per alcuni utopico. D’altro canto, la valuta degli scambi commerciali internazionali rimane il dollaro. Ed in Argentina, di fatto, tutti risparmiano e acquistano auto e casa già in dollari.

3 ragioni per cui gli analisti osservano l’Argentina del presidente più liberista degli ultimi decenni

La terza ragione riguarda il posizionamento geostrategico argentino. Negli ultimi decenni l’Argentina si era ritagliata un ruolo di eccezionalismo. Il tradizionale rapporto ideologicamente competitivo del peronismo con gli Stati Uniti aveva portato ad una progressiva apertura a capitali cinesi: non solo per la colossale esportazione della soia verso il colosso asiatico, ma anche per la costruzione di decine di infrastrutture da parte della Cina (oltre all’edificazione di una misteriosa base militare in Patagonia). L’apertura, ora, sembra essere tornata verso l’Occidente. E alla classe imprenditoriale bonaerense questo non sembra dispiacere. Ed è di pochi giorni la notizia che il secondo partner commerciale argentino non è più la Cina, bensì l’Unione Europea.

Nonostante il supporto ancora goduto da Milei, la visione aziendalistica dello Stato è dibattuta da molti economisti. Ma in Argentina potrebbe assumere i conformi di second best option rispetto all’approccio tenuto dei governi, peronisti e non, negli ultimi decenni. Una sfida, dunque, di interesse storico.

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