«Second Chance» e lo sguardo oltre le barricate nella voce di Erika Brenna

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L’ordinario che diventa eccezionale perché effonde tutto un vissuto. L’errore o il disagio come punto di partenza per raccontare vite uniche. Vicende come tante ma mai uniformate o massificate. Storie di uomini e donne che trovano voce perché scelgono di ripartire. Di affrontare la fatica e il dolore di un nuovo inizio. «Second Chance» è il documentario disponibile su Discovery+ con Cristiana Capotondi ideato e diretto da Erika Brenna. Tanti messaggi e significati ma uno su tutti: la possibilità di ripartire da un punto zero c’è sempre. Per chi lo vuole.

Erika, come nasce questo progetto?

«Il documentario nasce da un lavoro sinergico tra Cisco, Cristiana Capotondi, che è voce narrante e intervistatrice, e me: da qui la volontà di raccontare storie di riscatto, diverse fra loro ma ugualmente emozionanti».

ErikaBrenna

«Second Chance» e lo sguardo oltre i confini spinati. Quali sono i contenuti?

«Abbiamo raccontato quattro storie molto diverse tra loro: quelle di due detenuti, Luca e Giulia e poi c’è quella di Renato, finito su una panchina a Trastevere dopo aver perso tutto con il Covid. Ancora quella di Nour e Hasan, coppia di rifugiati siriani, fuggiti dalla Siria nel 2016 per la guerra con loro figlio di 6 mesi, Riad. Ciascuno di loro sta cercando di ricostruirsi la vita. Di riprendersi in mano ciò che ha perduto. Con Cristiana Capotondi – con cui lavorare è un’esperienza che arricchisce sempre – abbiamo cercato di raccontarli con garbo, in modo non urlato, ma con verità e trasparenza».

Quale messaggio volete lasciare in quanti vedranno Second Chance?

«Ci piace poter essere “tramite” di un messaggio  e cioè che laddove si ha voglia di cambiare e impegnarsi, nonostante la fatica che ciò comporta, si può riuscire. Questo soprattutto se si incontrano organizzazioni e persone speciali disposte ad ascoltarti, formarti e fornirti strumenti e fiducia. In questo modo, se lo vuoi, puoi davvero riappropriarti della tua dimensione di essere umano e diventare una persona con una rinnovata personalità e che vuole vivere in modo attivo».

Nasce così «Second Chance» e lo sguardo oltre le mura alte e buie, con gli occhi di nuovo rivolti verso l’alto e i piedi ancorati a terra.

Questi mezzi d’aiuto (che poi sono persone) si trovano sempre?

«Ciò che ho imparato dai racconti è che nelle carceri spesso non ti danno l’opportunità di essere visto e ascoltato, diventando così un numero. Se qualcuno ti ascolta, come accade a Luca con Lorenzo, suo insegnante di informatica ma soprattutto confidente, si smette di sentirsi soli e ci si riappropria della volontà del fare. Second Chance non vuole nemmeno essere un racconto edulcorato. C’è la vita vera che è fatta anche di complessità e accettazione di quello che ci capita cercando il coraggio di ritrovarsi. Emblematica la frase di Luca a Cristiana alla domanda finale “Ti sei perdonato?». La risposta è “No… è troppo presto”».

Da dove siete partiti?

«Come scelta di narrazione, per quanto riguarda le storie di carcere, siamo partiti dalla conoscenza della storia del protagonista, scegliendo di non parlare del prima. Quando scrivi un progetto del genere devi conoscere le storie. Mi sono documentata molto e fatto lunghe chiacchierate con i protagonisti e chi le conosceva da vicino».

È mai sorto in te l’istinto del giudizio o pregiudizio?

«Francamente no. Piuttosto non avevo mai visitato un carcere, invece entrando e ascoltando le storie mi sono resa conto che quando si chiude la porta alle tue spalle, senti il vuoto. Percepisci quasi un senso di estraniazione. E mi sono chiesta se io, in quelle condizioni, avrei mai avuto la forza di ricominciare e non lasciarmi andare. Per me quest’esperienza è stato un viaggio professionale e personale. Il giudizio non mi riguarda nella vita normale e nemmeno nel lavoro».

Come si fa a trovare l’equilibrio tra il distacco che (forse) richiede tale tipo di relazione e la giusta dose di confidenza?

«È importante creare e definire una sorta di patto fiduciario. Ascolto molto per tradurre le storie vere in immagini, in scrittura. A monte c’è sempre un grande lavoro di preparazione e molte domande sono anche scomode, crude se vogliamo. Ovviamente metto in conto che una persona può anche mentire tuttavia è fondamentale definire un patto di fiducia reciproca».

Su Discovery+ «Second Chance» e lo sguardo oltre l’errore stimola in tutti i fruitori momenti di riflessione. Perché in ogni vita tante volte c’è necessità di un nuovo inizio. Anche fuori le carceri.

Cisco

«Second chance» rappresenta anche l’occasione per celebrare i 25 anni delle Cisco Networking Academy. Si tratta di un programma mondiale di formazione informatica che dal 1997 offre gratuitamente a tutti la possibilità di accedere con le giuste competenze al mondo del lavoro.
Solo in Italia le Academy hanno formato finora 320.000 professionisti diventando molto spesso, come racconta lo stesso documentario, uno strumento di rinascita per persone in cerca di riscatto.
La stessa Comunità di Sant’Egidio è sede di una Academy Cisco e rivolge così alle persone che assiste anche percorsi di formazione sulle competenze digitali.

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