L’importanza della pensione integrativa: la crescita dei mercati pensionistici mondiali, e come investono

pensione integrativa

L’importanza della pensione integrativa: la crescita dei mercati pensionistici mondiali, e come investono. Il Thinking Ahead Institute ha appena fatto uscire l’edizione 2020 (con i dati del 2019) del Global Pension Assets Study. Quest’ultimo è il più importante studio al mondo sui fondi pensione istituzionali globali. Il Global Pension Assets Study copre 22 importanti mercati pensionistici (il P22). Questi ora ammontano a 46.734 miliardi di dollari di attivi pensionistici, e rappresentano il 62% del PIL di queste economie. Lo studio comprende un’analisi dei sette principali mercati (il P7) che comprende Australia, Canada, Giappone, Paesi Bassi, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti, e comprende il 92% del patrimonio pensionistico totale.

Nelle 22 nazioni studiate c’è anche l’Italia.

E i dati sono in crescita anche da noi, segno che (fortunatamente) l’importanza dei fondi pensione viene sempre più compresa di anno in anno.

Come detto, gli attivi dei fondi pensione istituzionali globali nei 22 maggiori mercati principali (il “P22”) sono rimbalzati nel 2019 del  del 15%. La ripresa della crescita è stata trainata, in parte, da forti guadagni sui mercati azionari nel corso dell’anno, con il Messico (22,2%), il Canada (18,9%) e gli Stati Uniti (17,8%) in testa. Ciò rappresenta un significativo cambio di rotta dal 2018, che ha visto un calo complessivo del 3,3% del patrimonio pensionistico globale. Gli Stati Uniti rimangono il più grande mercato pensionistico, rappresentando il 62% del patrimonio pensionistico mondiale, seguiti da Regno Unito e Giappone con il 7,4% e il 7,2% rispettivamente.

L’importanza della pensione integrativa: la crescita dei mercati pensionistici mondiali, e come investono

La ricerca mostra inoltre che il passaggio ad asset alternativi continua a ritmo sostenuto, e segna due decenni di notevoli cambiamenti nell’asset allocation delle casse pensioni a livello globale. Nel 1999, solo il 6% degli attivi delle casse pensioni dei P7 è stato allocato ai mercati privati e ad altre alternative, rispetto a quasi un quarto degli attivi (23%) nel 2019. Questo spostamento è avvenuto in gran parte a scapito delle azioni e delle obbligazioni, in calo del 16% e dell’1% rispettivamente nel periodo. L’asset allocation media del P7 è ora del 45% per le azioni, del 29% per le obbligazioni, del 23% per le alternative e del 3% per la liquidità. In maniera non del tutto incidentale, questa asset allocation potrebbe essere anche la vostra. Basta replicarla per investire come investono i fondi pensione mondiali.

Marisa Hall, Co-Direttrice del Thinking Ahead Institute, ha detto: “Oltre alla forte crescita delle attività dell’anno scorso, c’è stata una notevole ripresa nella tendenza decennale dei fondi che sviluppano strategie più forti intorno al loro personale. I fondi più grandi, in particolare quelli sopra i 25 miliardi di dollari, hanno continuato a costruire team interni più grandi e sofisticati. Lo hanno fatto con una leadership più forte attraverso i propri ruoli di CEO e CIO, e una maggiore specializzazione di ruolo in alcune classi di attività, come i mercati privati. I fondi più piccoli continuano a esternalizzare, in tutto o in parte, le loro decisioni di tipo CIO, e ci aspettiamo che questo continui”.

I dati italiani

Nel 2019 sono stati allocati 210 miliardi di dollari in fondi pensione, pari al 10,6% del PIL nostrano. La media, a livello del P22, è del 68,8%. La crescita del mercato pensionistico integrativo in Italia può essere quindi spaventosamente buona, ancora. Nell’ultimo anno il mercato italiano è cresciuto del 9,9% e, negli ultimi 5 anni, del 5,5% annuo. Viste le sue esigue dimensioni, il mercato nostrano rappresenta, al momento solo lo 0,7% del mercato mondiale. In termini di euro, la crescita degli attivi è stata del 12,3% nell’ultimo anno, e del 7,4% negli ultimi 5 anni. Le cose sarebbero potute andare anche meglio se il dollaro non fosse così forte, come valuta. L’euro ha infatti sottratto il 2,2% ai corsi nel 2019, e l’1,6% annuo negli ultimi 5 anni.

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