A quale scuola di pensiero economico appartiene Draghi?

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Una politica economica degna di questo nome, fa riferimento ad una visione strategica. Una visione supportata cioè da un pensiero e da una concezione, basati su vere e proprie scuole di pensiero economico, che possano indirizzare i provvedimenti da assumere.

Scuole che possono anche nettamente differenziarsi tra di loro, liberali o socialiste, improntate al laissez faire o all’interventismo, e così via.

E, visto che Draghi è chiamato soprattutto a risolvere problemi economici, ci domandiamo “a quale scuola di pensiero economico appartiene?”.

A quale scuola di pensiero economico appartiene Draghi?

Per meglio contestualizzare il tema, dobbiamo richiamare la concezione di base, da cui muovono le mosse tutte le moderne economie occidentali in ambito UE.

In tale contesto, uno Stato non stampa denaro, tramite la propria banca centrale, ma si finanzia tramite emissione di titoli del debito pubblico, piazzati sul mercato.

Pertanto lo Stato non ha la possibilità di creare moneta autonomamente, per ripagare il debito o per una diversa finalità.

Come fare, quindi, per ripagare il debito e far fronte alle altre funzioni pubbliche?

A tale riguardo si confrontano diverse scuole di pensiero, che vanno da chi ritiene si debba incrementare la pressione fiscale, a chi invece preferisce manovre espansive. In questa direzione, si ritiene che la crescita economica, favorita da manovre espansive, possa consentire, quindi, anche un incremento della base imponibile di uno Stato. E quindi di aumentare significativamente le risorse, a disposizione sia del servizio del debito, che per le altre esigenze pubbliche.

In tale contesto si inserisce il keynesismo, quella scuola di pensiero che ha evidenziato soprattutto il funzionamento economico di un elemento, noto come moltiplicatore economico.

In altri termini, quando si effettua una spesa pubblica, o comunque si immette base monetaria nel sistema economico, questa moltiplica per n volte l’importo originario ed incrementa, quindi, la ricchezza che si produce.

Il classico esempio è quello di un investimento in lavori pubblici.

Percepiscono denaro imprese e lavoratori, che poi tenderanno a spendere tutto o parte di quel denaro in altri investimenti e consumi, e di qui, a sua volta, un’ulteriore propensione alla spesa.

Ecco spiegato l’effetto moltiplicatore.

Possiamo quindi avere, in un certo senso, due indirizzi principali nella scuola keynesiana. Quella che punta alla spesa pubblica e quella che ritiene che sia possibile un effetto moltiplicatore con manovre di riduzione della pressione fiscale. In entrambi i casi, si crea massa monetaria a disposizione del sistema economico.

Un keynesismo di destra e di sinistra, in un certo senso.

In entrambi i casi, si possono creare effetti moltiplicatori, che tendono ad incrementare lo sviluppo economico ed il reddito quindi disponibile.

Il Recovery e Draghi muovono da questa concezione

Anche Draghi appartiene ad una scuola di pensiero neokeynesiana.

È allievo di un economista neokeynesiano, Federico Caffè, misteriosamente scomparso (ma questa è un’altra storia). E anche un suo intervento ad un Meeting di Comunione e Liberazione ha chiaramente espresso questa concezione, quando parlò del cosiddetto debito buono.

Infatti, quando si afferma che la spesa pubblica, realizzata a debito, genera un effetto moltiplicatore nell’economia, questo non significa che tale meccanismo valga sempre e comunque. Ci sono spese che hanno un limitato effetto moltiplicatore, ed altre dotate di un moltiplicatore decisamente maggiore.

Solo queste ultime rappresentano, se fatte a debito, un debito buono.

Ad esempio, è chiaro che il fare debito per poi sperperare i soldi, o dirottarli su impieghi meramente assistenziali, servirà ben poco allo sviluppo economico.

Diverso l’impiego di spesa pubblica per investimenti.

Ed ecco, quindi, il debito buono, quel debito cioè dotato della maggior capacità di far crescere l’economia tramite significativi coefficienti di moltiplicatore economico.

E perfettamente in linea con questo pensiero è anche il Recovery.

Una mole di finanziamenti diretti ai diversi stati europei, che l’UE chiede siano infatti impiegati proprio per generare, in primis, una significativa crescita economica.

Di qui l’altra concezione alla base del sistema del debito.

Deve essere la crescita economica a copertura del debito e delle altre esigenze di spesa pubblica.

Ecco perché Draghi è il candidato ideale

Soprattutto per questi motivi Draghi è il candidato ideale a gestire le risorse del Recovery Fund.

È ben consapevole dei meccanismi economici moltiplicatori su cui punta l’UE. Ed ha già saputo mettere in campo politiche, come il Quantitative Easing, all’insegna di un “whatever it takes”, che potrà fungere da idea ispiratrice anche per la difficile situazione italiana.

Certo non all’insegna di meri assistenzialismi, come quello alla base del reddito di cittadinanza. Una misura teoricamente rivolta ad incrementare le occasioni lavorative, ma un vero fallimento da questo punto di vista. O di meccanismi, in tanti casi di mera facciata e sprofondati nel mare magnum dei lacci della burocrazia italiana, come gli ormai famosi bonus fiscali in materia edilizia.

I partiti mettano quindi da parte le loro scaramucce e riserve, ed accordino la fiducia a Draghi. Al momento pare il solo, o comunque uno dei pochi, a sapere veramente differenziare un uso virtuoso ed attento alla crescita economica delle risorse pubbliche, dall’uso invece improduttivo ed assistenziale, purtroppo tipico di certa mentalità italiana.

Un’occasione di autentica discontinuità, che potrebbe indirizzare non solo le scelte attuali, ma anche le future politiche.

Non c’è peraltro dubbio che nella precedente maggioranza di Governo vi siano stati, non a caso, partiti maggiormente vicini alla concezione di Draghi. Stiamo parlando di PD e soprattutto Italia viva. Altri, invece, maggiormente sensibili o quanto meno divisi rispetto a queste concezioni, come il Movimento 5 Stelle.

Anche tale elemento, non a caso, ha un suo peso che si riflette nell’attuale maggiore o minore favore verso Draghi di queste differenti forze politiche.

A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT

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