Quanto costa aprire un conto deposito e quando conviene rispetto al conto corrente bancario o postale

Quanto costa aprire un conto deposito

Il conto deposito potrebbe essere una possibile destinazione dei risparmi in eccesso e uno dei più stretti alleati del c/c. In genere non è oneroso (tranne gli oneri fiscali) e permette di guadagnare sulle somme ivi destinate. Tuttavia, c’è un errore che non andrebbe mai compiuto. Vediamo di quale si tratta. 

In questi mesi di forte inflazione non conviene restare liquidi più dello stretto necessario. Nel giro di pochi anni, infatti, le perdite in conto capitale potrebbero arrivare a cifre considerevoli. Oltretutto non devono essere dimenticate le spese vive di tenuta conto, considerato che spesso lo strumento è oneroso. Insomma, può suonare strano o indigesto ma anche i soldi liquidi hanno un costo.

Vediamo allora quanto costa aprire un conto deposito e quando conviene farlo e per quanto tempo.

Quali sono i costi collegati a un conto deposito

Se il conto corrente è un valido strumento di pagamento (in entrata e in uscita), il conto deposito (CD) lo è nell’ottica dell’investimento di breve termine.

Conviene il conto corrente o il conto deposito

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Il CD prevede che il titolare vi depositi il denaro per un dato periodo di tempo, in genere tra i 6 mesi e i 4-5 anni. Gli intermediari finanziari lo propongono con o senza vincolo sulle somme ivi depositate. Le linee vincolate sono generalmente più remunerative di quelle libere, in cambio di una minore (o nessuna) libertà di manovra dell’investimento prima della scadenza.

Un altro vantaggio è legato alle spese. Il CD, infatti, di norma non prevede costi di apertura, gestione ordinaria e chiusura, tanto a scadenza quanto anticipata. Fanno eccezione gli oneri fiscali, ossia la ritenuta del 26% sugli interessi attivi maturati e l’imposta di bollo del 2X1.000 sulla somma depositata.

Quanto costa aprire un conto deposito e quando conviene ricorre allo strumento

Di contro il c/c (bancario, postale e online) si presenta spesso oneroso e/o privo di remunerazione sulle somme libere ivi presenti. Il correntista è ormai abituato da anni al tasso 0% sulla giacenza in conto e a sostenere le spese periodiche legate allo strumento. Ossia il canone di tenuta conto e l’imposta di bollo di 34,20 euro sulle giacenze medie sopra i 5mila euro. Insomma, considera ormai normale l’avere dei risparmi da parte che non solo costano, ma addirittura non fruttano niente.

Spesso la motivazione risiede nel timore di sbagliare investimento e quindi di perdere soldi. Tuttavia, restare liquidi oggi equivale a perdita certa tra spese vive e (soprattutto) perdite in conto capitale per via dell’alta inflazione.

Inoltre, sul mercato non mancano soluzioni d’investimento a rischio contenuto, adatte a investitori che puntano principalmente al ritorno del capitale a scadenza.

sul mercato non mancano soluzioni d’investimento a rischio contenuto

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L’errore da non fare

In definitiva, quindi, lo strumento si rivela utile per stornare dal c/c le somme eccedenti le ordinarie esigenze. Non ha senso avere sul conto cifre di una certa consistenza e ben distanti dalle spese più o meno ordinarie. Visto in questi termini, CD e c/c sono due strumenti che potenzialmente si completano a vicenda.

Tuttavia, non va mai fatto l’errore di considerare il CD quale unica alternativa al c/c. Primo perché non bisogna mai riporre tutte le uova in un solo cesto (il rischio va sempre frazionato e mai concentrato). Secondo perché il CD è funziona molto bene nel parcheggio della liquidità di breve termine. Sul medio e lungo termine altri strumenti si rivelano mediamente più remunerativi.

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