Ottime le pensioni a 62 anni con 20 anni di contributi e taglio lineare meglio delle nuove Quote

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Da settimane ormai per la riforma delle pensioni si parla di nuove misure a Quota. E così che il Governo avrebbe intenzione di riformare il sistema, di evitare il ritorno alla Legge Fornero e di dotare il sistema di flessibilità. Ma la Quota 41, oppure le Quote 100 e 102 presentano delle evidenti problematiche relative a diversi lavoratori che non potrebbero minimamente sfruttarle, restando invischiati proprio nella Legge Fornero. E forse sono proprio questi lavoratori quelli che maggiormente pagano dazio dalla crisi economica di oggi e dalle modalità di lavoro con cui hanno fatto i conti in carriera.

Perché tutte le ipotesi a Quote sono difficili da raggiungere per molti

Il fatto che si parli di riformare il sistema è sicuramente una cosa ottima, ma bisogna vedere con che misure si intende operare. Per esempio, le tante ipotesi di pensioni con le Quote di cui oggi si parla, sono destinate sostanzialmente a lavoratori che si trovano già vicini alle soglie di accesso delle pensioni ordinarie. Quota 41 con limite di età a 61 anni per esempio. Chi ha già maturato 41 anni di contributi a 61 anni, senza riforme e simili, potrebbe andare in pensione nel 2024. Si tratterebbe di anticipare la quiescenza di un anno o poco più. E il limite dei 61 anni riduce la flessibilità escludendo chi invece 61 anni non li ha compiuti. Assottigliando il vantaggio rispetto alla pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi di contributi.

Anche la Quota 100 flessibile sempre a 61 anni ha lo stesso effetto. Solo chi ha 39 o più anni di contributi riuscirebbe ad uscire a 61 anni. Con 35 anni di contributi l’uscita arriverebbe solo a 65 anni di età, cioè due anni meno della pensione di vecchiaia a 67 anni. Carriere troppo lunghe che escludono quanti non hanno avuto la capacità o la fortuna di avere assunzioni stabili e durature durante la carriera.

Ottime le pensioni a 62 anni con i tagli lineari, ecco perché

Basti pensare a chi ha tra i 24 ed i 30 anni di contributi. Per questo genere di lavoratore niente è previsto, in barba alla flessibilità sbandierata dalle nuove ipotesi di riforma. Ma flessibilità vuol dire mandare in pensione tutti i lavoratori a prescindere da tutto, facendo pagare a loro lo scotto di anticipare l’uscita a discapito dell’importo della pensione. Questo è il principio cardine della flessibilità e l’oggetto principale di diverse proposte di pensionamento degli anni passati. I sindacati per esempio continuano a pensare ad una uscita flessibile a 62 anni per tutti. E la via è quella di fissare il minimo contributivo a 20 anni come lo è per le pensioni di vecchiaia ordinarie.

Andrebbero in pensione a loro libera scelta quelli che si trovano ad aver raggiunto i 62 anni di età con una carriera nettamente inferiore a quella prevista dalle ipotesi per quotisti di oggi. E c’è chi ritiene ottime le pensioni a 62 anni con i tagli lineari. In parole povere verrebbe imposto un taglio tra il 2% ed il 3% sul trattamento previdenziale per ogni anno di anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia. Chi esce a 62 anni 5 anni prima subirebbe così un taglio tra il 10% ed il 15%. A 63 anni invece tra l’8% e il 12%.

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