L’indennità di accompagnamento INPS spetta anche dopo la pensione di vecchiaia?

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La maggior parte delle prestazioni assistenziali concesse ai lavoratori invalidi al compimento dei 67 anni vengono meno. A tale età, infatti, all’invalido è riconosciuta la pensione di vecchiaia se ha versato almeno 20 anni di contributi. In caso contrario ottiene la trasformazione dell’assegno mensile di invalidità in assegno sociale sostitutivo. Ma dome ci si comporta con l’indennità di accompagnamento INPS? Vediamo cosa succede all’invalido al compimento dei 67 anni in questo caso.

Le prestazioni di invalidità

La pensione di invalidità parziale o totale, legata al reddito e ai requisiti sanitari, spetta dai 18 ai 67 anni. Al compimento dei 67 anni la prestazione assistenziale viene meno per lasciare il posto all’assegno sociale o alla pensione di vecchiaia.

Lo stesso accade anche all’assegno ordinario di invalidità, anche se non è una prestazione assistenziale. Si tratta, infatti, di una prestazione previdenziale il cui importo è calcolato sui contributi realmente versati. E al compimento dei 67 anni si trasforma in automatico in pensione di vecchiaia. Senza bisogno che l’invalido presenti alcuna domanda.

In questo caso la pensione di vecchiaia spetta quasi sicuramente perché in primis l’AOI non vieta al lavoratore di continuare a lavorare. E poi, nel caso non abbia raggiunto i 20 anni di contributi, potrà contare sugli eventuali contributi figurativi del periodo di fruizione dell’assegno in cui non ha prestato attività lavorativa. Per un massimo di 3 anni.

L’indennità di accompagnamento INPS continua a spettare dopo il pensionamento di vecchiaia?

L’indennità di accompagnamento è una prestazione assistenziale per l’invalido, ma è molto particolare. In prima istanza bisogna dire che è riconosciuta solo in base ai requisiti sanitari. E non contano gli eventuali redditi. Né quelli dell’invalido né tantomeno quelli dell’eventuale coniuge o di altri familiari conviventi. Tra l’altro si tratta di erogazioni esentasse che non vanno dichiarate nel modello 730.

Si tratta di una prestazione che è riconosciuta quando l’invalido totale, al 100%, ha dei gravi problemi di deambulazione. Ovvero quando non riesce a camminare da solo. Ma spetta anche al soggetto non autosufficiente che non riesce a svolgere, senza l’aiuto di una terza persona, gli atti della vita quotidiana. Si tratta, quindi, degli stessi requisiti richiesti per poter ricevere anche l’assegno di cura di 200 euro al mese concesso da alcune Regioni.

La prestazione può essere sospesa?

L’indennità di accompagnamento, probabilmente, è l’unica prestazione assistenziale che non viene sospesa neanche al raggiungimento dei 67 anni. E neanche se il titolare ha diritto alla pensione di vecchiaia.

Questo perché anche accedendo al trattamento economico previdenziale non vengono meno i presupposti per i quali è stata concessa. Ovvero la necessità di un’assistenza continua che, non potendo essere data sempre e solo dai familiari, nella maggior parte dei casi deve essere retribuita a una terza persona. Come, ad esempio, una badante.

Quando può essere revocata?

A determinare l’eventuale sospensione o revoca dell’indennità di accompagnamento, quindi, non è mai l’accesso alla pensione di vecchiaia. L’unico motivo per il quale l’agevolazione può essere revocata è un miglioramento netto delle condizioni sanitarie dell’invalido. E a ribadirlo è la stessa Corte di Cassazione in una sentenza del 2021. In essa la Suprema Corte ribadisce che se i requisiti sanitari del beneficiario rimangono immutati il beneficio non può essere revocato.

Per revocare l’indennità di accompagnamento, quindi, dovrà essere l’INPS a dimostrare che le condizioni di salute di chi ne beneficia siano migliorate. E non il titolare a dover dimostrare che sono rimaste immutate o che sono, addirittura, peggiorate.

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