L’incertezza da commedia, ovvero come Trump ha trasformato i mercati globali in un circo alla Moira Orfei

trump

Incertezza politica legata alle guerre commerciali, mercati finanziari in subbuglio grazie alle criptovalute, la doppia V del mercato azionario USA e una micro analisi sulle tendenze economico-finanziarie europee. Il Vecchio Grim ci guida nell’analisi strutturale dell’ultima, movimentata settimana economica, dove continuano a pesare le azioni improvvise di Trump, mentre in Italia tiene banco l’offerta pubblica di acquisto di Mediobanca.

La scorsa volta parlavo della “curva” dei dazi con Trump alla guida; tutto il resto del mondo, metaforicamente, a implorare di rallentare prima della curva – ovvero non più del 10% di dazi – e Trump, tipicamente a modo suo, con un’accelerata in curva, cui fa seguire il tiraggio del freno a mano, fa il contrario, facendo girare su se stessa l’auto, per non dire cappottarla. Quelle cose che da ragazzo mi divertivo a vedere al circo di Moira Orfei: 50% al Brasile, 35% al Canada, 30% Europa e Messico e via dicendo. Un mio amico, più colto di me, per rimanere nella commedia, me ne ricordava una di Aristofane del 400 a.C. a Atene, del personaggio Lisistrata. In sintesi, Lisistrata, per far finire le guerre continue tra gli uomini, si appellò a tutte le donne greche, invocando astinenza sessuale con gli uomini, non per raggiungere la parità dei sessi, quanto per arrivare alla pace. Si potrebbe tentare questa via per la fine di guerre commerciali e non, per ironizzarci su.

Dopo l’escalation da dazi, ora dovrebbe partire la parte “taco” della commedia? Stiglitz suggerisce ai 27 dell’Europa di rispondere uniti e di rispondere “dente per dente” al Tycoon, per ottenere un migliore risultato. Egli, nella sua tattica negoziale, sarebbe debole con i forti (Cina) e forte con i deboli, sostiene Stiglitz. L’Europa dei 27 è pur sempre il secondo PIL del mondo; dubito peraltro, per replicare a Stiglitz, che la sua risposta derivi da una compattezza a 27 Stati.

I mercati finanziari e la prepotente cavalcata di Bitcoin

Passando alla settimana dei mercati finanziari, questi hanno evidenziato frazionali oscillazioni degli indici di borsa, tassi, cambi; solo Bitcoin e Altcoin hanno registrato sensibili variazioni al rialzo. Mi ha colpito il +40% della crypto Stellar, uno spin-off di Ripple, una cripto tech che per gli esperti – non è il mio caso – potrebbe affiancarsi, se non sostituirsi, col tempo ai pagamenti fatti tramite Visa/Mastercard. Sul Bitcoin a 118.000 dollari, ovvero il massimo di sempre, la matrice degli acquisti, dall’alto dei suoi 2,3 trilioni di market cap rispetto ai 3,7 trilioni di tutte le crypto, parrebbe derivare da investitori istituzionali. Alcuni di questi sostengono che in un mondo finanziario dove l’incertezza la farà sempre più da padrona, con a latere quello geopolitico in subbuglio, rifugiarsi in questo algoritmo matematico è una sorta di “store of value” digitale, aggiungerei “a numero chiuso”, da affiancare all’oro, “store of value” fisico: I do take notes and I do skip. Detti rialzi forse anticipano la settimana in USA del “crypto act”: chi lo sa?

La V-shape delle equity

Rimanendo alle contenute variazioni del mondo degli “arnesi vecchi”, cui appartengo (borse, tassi ecc.), questi almeno in USA sembrerebbero sotto l’egida della doppia V. Una V di “V-shape” dell’andamento equity, sui massimi, in linea con la “V-shape” degli EPS (Earnings Per Share) di consenso, con il Q2 che parte da metà della prossima settimana. La “V-shape” degli EPS per il consenso del Q2 è passata da circa +8% di inizio anno a poco meno del 4% (Liberation Day), per poi risalire di recente a poco meno dell’8%. La partenza a breve dei risultati del Q2 dovrebbe corroborare detta “V-shape” di consenso.

L’altra V è quella di Vanda Research che continua a segnalare in USA, in termini di posizionamento, il massiccio “overweight equity” del retail e l'”underweight” degli istituzionali “long only”/hedge funds, fermi ancora alla drastica riduzione di equity del Liberation Day, con qualche moderato acquisto di recente.

Operativamente, non penso che il trimestre in corso vedrà grossi scossoni su tassi/cambi; per l’equity USA mi associo a quanto proferito dal Prof. Geremy (Wharton). Potremmo muoverci tra un “on-going” rialzo di borsa e una fase “choppy”, a seconda di come inciderà concretamente la tassa dazi, che nella sostanza può essere duplice, sia per gli azionisti delle aziende interessate, sia per il consumatore finale.

Evidenzio che l’intervista di Jeremy è antecedente alle recenti “lettere a tempo” di Trump, le “taco letters” a tempo 1° agosto almeno per l’Europa; esse per il momento spostano le lancette del pendolo dazi a sinistra (bearish), in attesa che ritornino a destra (bullish), se “taco” holds.

Nvidia e Apple: la rivincita dell’AI

Il suo piglio mi sembra peraltro bullish, laddove Jeremy giustificherebbe i 4 trilioni di Nvidia come uno “speed up” degli investimenti in AI con conseguente crescita di produttività delle aziende, proprio come “offset” della negatività/riduzione di marginalità da rialzo prezzi/dazi; in altri termini, “non tutti i mali vengono per nuocere”, dazi inclusi.

Rispetto la sua tesi; mi permetto solo di aggiungere che questo forte “re-rating” rialzista di Nvidia e “related stocks” lo collegherei piuttosto alla novità del “Beautiful Act”, ovvero di poter ammortizzare in 1 anno (ammortamento ultra accelerato, equivalente a un prestito senza interesse dello Stato) le spese per nuovi investimenti AI/R&D, tanto che il Tycoon avrebbe già convocato Jensen alla Casa Bianca quasi per dirgli, per rimanere nella metafora, “ringraziami se vali 4 trilioni di dollari”.

Operativamente, resterei sovrappeso tech, con un “material overweight” anche sulla “laggard” Apple, in netto ritardo sull’AI, con addirittura una parte del mercato che vorrebbe “chiedere la testa” di Cook, se non svolta sull’AI celermente. Mi sembra esagerato, alla luce dei 2 trilioni di dollari di valore creato da Apple durante la sua gestione; insomma, “when there is a problem, there is a bargain?”, penso di sì.

Europa e Italia: il ‘caso’ MPS e ThyssenKrupp

Per finire con la parte “micro Europe”: approfitterei di qualche eventuale “finger ribassista” alla riapertura dei mercati di lunedì, “dazi-related”, per accumulare Banca MPS, ormai unica banca del Sud Europa che quota ancora a 0,75 il “tangible equity” (TE), nonostante utili compresi tra 1,2/1,5 miliardi rispetto a una market cap di 9 miliardi. Un dividendo di circa il 10% annuo sarebbe più che sostenibile, visto il suo eccesso di capitale, nonché il favorevole posizionamento di mercato, con molti hedge “lunghi MB”/corti BMPS. Perfino le banche greche quotano ormai sopra il TE; non capisco i motivi della sottovalutazione di MPS, egregiamente gestita dal settantenne Lovaglio. L’OPVS con MB, anche senza rilancio, aggiungerebbe ulteriore “re-rating” al titolo, visto che almeno un 40% di adesioni all’OPVS dovrebbe essere alla sua portata.

Aggiungerei alla lista dei “best picks” in Europa ThyssenKrupp, già peraltro triplicata di valore. Ieri, mentre le agenzie davano risalto alle lettere di Trump, mi sono soffermato sulle notizie che arrivavano dalla Thyssen che segnano un “trigger point” importante per l’intero listino tedesco, a mio avviso. Dopo che i “crucchi” hanno mandato in soffitta il tabù del basso debito con una “trilionata” di euro di maggiore spesa pubblica, per la parte micro, inizierebbe l’era dello “shareholder value”: i tempi cambiano.

I lavoratori della Thyssen avrebbero accettato un piano di ristrutturazione “lacrime e sangue”, positivo per lo “shareholder value”, cui dovrebbero seguire una serie di “spin-off” delle varie divisioni, in linea con quanto la “buonanima” di Marchionne fece con la vecchia Fiat, incrementando sensibilmente il valore complessivo per gli azionisti.

In sintesi, il “break-up value” di circa 20 euro di Thyssen, ora sulla carta, potrebbe tradursi in realtà. Sarebbe stato meglio accorgersene col titolo a 3/4 euro; ora quota circa 11, rispetto a 20 di valore di “break-up”, la distanza è comunque significativa.

Thyssen, per rimanere nell’acciaio, si affianca al mio “stock for ever” Danieli Risp., che proprio in settimana ha ricevuto un’ulteriore “green light” dal governo per realizzare a Piombino uno tra i più innovativi impianti della siderurgia al mondo. Presumo il più grosso ordine della storia aziendale di Danieli, oltre 1,5 miliardi di euro; mancherebbero “poche firme” (banche, SACE + ogni forma di burocrazia italica…), per la definitiva acquisizione del mega ordine. Esso si aggiungerebbe a un backlog enorme che sfiora i 7 miliardi di dollari.

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