L’esercizio della professione in forma associata è circostanza di per sé idonea per essere soggetti ad IRAP

IRAP

L’esercizio della professione in forma associata è circostanza di per sé idonea per essere soggetti ad Irap. Studiamo il caso.

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 2094 del 29/01/2021, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di IRAP. Nella specie, uno Studio di commercialisti associati ricorreva per l’annullamento della sentenza della Commissione Tributaria Regionale, che ne aveva rigettato l’appello. La controversia riguardava l’impugnazione dell’accertamento che aveva ritenuto assoggettabili ad IRAP i compensi dell’attività professionale per l’anno di imposta 2005. Secondo il ricorrente la CTR aveva erroneamente rilevato la sussistenza di un’autonoma organizzazione nell’esercizio dell’attività professionale (prevalentemente di revisore o sindaco di società terze).

La decisione

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Secondo la Suprema Corte la censura era infondata. Evidenziano i giudici di legittimità che, in tema di IRAP, l’esercizio, in forma associata, di una professione liberale rientra nell’ipotesi regolata dalla norma. E si prescinde in tal caso anche dal requisito dell’autonoma organizzazione, che è in sostanza presunta. Pertanto, l’esercizio della professione in forma associata è circostanza di per sé idonea per essere soggetti ad IRAP. Il reddito prodotto non è frutto infatti, in tal caso, esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio.

E dunque, legittimamente, il reddito dello studio associato viene assoggettato ad imposta. A meno che il contribuente non dimostri che tale reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati. Né, rileva la Cassazione, a diversa soluzione può portare la circostanza per cui l’attività professionale sia quasi esclusivamente quella di revisore o sindaco. Anche in tal caso, del resto, grava sul professionista, rispetto alla domanda di rimborso di quanto già versato, l’onere di provare l’assenza del presupposto d’imposta.

Conclusioni

Nella specie, lo studio associato non aveva dimostrato che i proventi dichiarati fossero riconducibili all’attività di amministratore o sindaco, svolta a titolo individuale dagli associati. Pertanto, il ricorso andava rigettato. A prescindere dallo specifico caso processuale, giova però anche evidenziare quanto segue. Il commercialista, che sia anche amministratore, revisore e sindaco di una società, in generale, non soggiace all’IRAP per il reddito netto di tali attività. Al fine di essere esenti da imposizione, deve tuttavia essere in tal caso possibile scorporare le diverse categorie di compensi eventualmente conseguiti. Se, quindi, il professionista chiede lo scorporo dei proventi da attività di sindaco, il giudice deve effettuare una valutazione specifica e separata di tale attività.

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