“Il conflitto in Ucraina è regionale e deve rimanere tale”, Federico Carli pungola l’Unione

Federico Carli

Federico Carli a tutto campo. Docente universitario e Presidente dell’Associazione di cultura economica e politica Guido Carli, tocca i nervi scoperti dell’Unione. Ci spiega le motivazioni della Brexit, gli aspetti da migliorare dell’Unione Europea intesa come «spazio comune di un unico popolo» e soprattutto come «idea politica» prima che economica. In ultimo, la stoccata sul conflitto in Ucraina. Carli da giovane si laurea in Economia e Commercio all’Università La Sapienza di Roma e completa la sua formazione con un Master in Economics and Finance alla Venice International University. Matura spiccate capacità manageriali e organizza diverse conferenze sui temi di attualità economica nazionale e internazionale. Il prossimo 24 novembre a capo dell’Associazione Guido Carli, con il supporto di Banca Ifis, organizza il premio Bancor che sarà conferito ad un economista di spessore internazionale: lord Mervyn King.

Partiamo da lontano. Uno degli scopi dell’Associazione Guido Carli che Lei presiede è quello di trasmettere (soprattutto ai giovani) «i valori posti a fondamento del suo pensiero (di Guido Carli, ndr)». Ce ne può dire qualcuno?

«Guido Carli è stato una persona di grande rilievo nella seconda metà del Novecento. La sua competenza in materia economica e giuridica supera i confini nazionali e rende il nostro Paese molto autorevole all’Estero. Con Guido Carli il peso dell’Italia nell’ambito di decisioni e vicende fondamentali per il progresso dell’Occidente è notevole. Questo grazie alla sua autorevolezza riconosciuta a livello internazionale».

È autorevole perché? Quali sono i principi su cui si fonda la sua professionalità?

«Vede lui riesce ad esprimere un punto di sintesi tra il pensiero cattolico e liberale. Si forma studiando grandi economisti e pensatori liberali italiani e anche tedeschi. Trascorre un periodo a Monaco di Baviera. Professionalmente si forma con Luigi Einaudi, Vilfredo Pareto, Francesco Ferrara e poi c’è la figura del padre Filippo che è un cattolico liberale. Ha avuto grandi maestri. Certamente questo contesto di cui lui si nutre fa sì che venga fuori in lui un grande rigore morale e tale aspetto è centrale nel conferirgli autorevolezza».

Quali sono le pertinenze dell’ex Governatore della Banca d’Italia?

«Lui aveva una grande apertura mentale. Favoriva il pluralismo, il dibattito e stimolava la diversità delle opinioni. Riteneva che dal confronto potesse nascere il progresso. Ha sempre cercato la varietà dei punti di vista e promosso il pensiero critico. Un altro aspetto cui teneva molto era l’essere al passo con i tempi correnti. Per fare un esempio, si impegnò molto per collocare la Banca d’Italia e il Paese sulla frontiera della modernità dal punto di vista tecnologico. E poi la passione civile e l’amore per l’Italia sono un’altra cifra della sua personalità. Molto aperto, molto internazionale ma contestualmente innamorato del nostro Paese».

Qualcos’altro?

«Altro insegnamento fondamentale che ha lasciato è che ogni epoca presenta difficoltà e sfide. In questi contesti difficili ognuno di noi, in qualunque posizione si trovi, ha il dovere di fare la propria parte per superare le difficoltà del presente. Quindi anche nei momenti di grandi difficoltà non deve mai venire meno l’impegno di agire con responsabilità e compiere il nostro dovere con la dovizia di sempre».

Sul profilo squisitamente umano, che persona era?

«Sicuramente una persona rigorosa e di forte carisma però aveva anche un tratto di timidezza e sensibilità dietro questo suo carattere decisionista e a volte riservato».

Con grande immaginazione, c’è oggi tra i vari vertici istituzionali qualcuno che si rifà almeno in qualche aspetto a Guido Carli?

«Per l’impostazione riconosco qualche aspetto di insegnamento negli economisti che sono entrati nella Banca d’Italia quando c’era lui. Quindi Paolo Savona, Mario Sarcinelli, Antonio Fazio. Ancora Pierluigi Ciocca, Guido Maria Rey, Rainer Masera. Hanno assorbito questo insegnamento perché in ognuno di loro c’è la ricerca di mettersi in discussione e appunto noto un tratto di riconoscibilità. Poi consideri che Guido Carli teneva moltissimo ai giovani. Li scopriva già a vent’anni: li chiamava e li portava a pranzo ad esempio con Giovanni Agnelli. Dopo chiedeva cosa pensassero quindi li rendeva da subito responsabili, credeva moltissimo nel valorizzare i talenti dei giovani. Uno dei giovanissimi che richiamò in Italia fu Mario Draghi che all’epoca era sconosciuto. Lo volle in Italia per un ruolo delicatissimo cioè quello di Direttore Generale del Tesoro».

Nel 2020 Lei ha curato un volume sulla Brexit, testo che raccoglie gli atti del convegno «L’economia europea nel nuovo ordine internazionale» tenuto a Genova l’anno prima. Cosa ha determinato l’uscita del Regno Unito dall’Unione?

«Quando ci fu il referendum in Gran Bretagna molti lo sottovalutarono, anche in Italia. E questo è stato un errore di valutazione. Ad ogni modo, le cause della Brexit sono due: l’eccesso di burocrazia e di regolamentazione dell’Unione unitamente ad un eccessivo interventismo. Consideri anche che per molto tempo la Germania all’interno dell’Unione assume un rigorismo ossessivo, esprimeva una leadership indiscussa».

Intanto quanto e chi ha danneggiato questa dipartita?

«Guardi è stata una perdita più importante per l’Unione che non per gli inglesi. Non possiamo fare a meno di un popolo e di un contrappeso fondamentale verso la Germania. Sotto il profilo politico i più danneggiati sono i Paesi UE. Dal punto di vista economico non cambia molto, sul piano politico sì».

Ma Bruxelles ha capito la «lezione» secondo Lei? Il messaggio è arrivato?

«Probabilmente il messaggio è arrivato ma molto tardi perché quando è arrivata la pandemia, all’inizio, è stata comunque gestita male. Adesso è in corso la rinegoziazione del Patto di Stabilità che è un’occasione per dimostrare che la lezione della Brexit è stata recepita».

Ci sono margini di miglioramenti dunque?

«Guardi occorre secondo me immaginare l’Unione come spazio comune che si occupi di Clima, Migrazioni, Difesa e gestione delle crisi globali. Il ruolo primario è far rinascere gli europei come popolo. Nei secoli passati esisteva un idem sentire che legava tutti gli abitanti del nostro Continente. Leggendo i diari di Giacomo Casanova capiamo che il grande avventuriero veneziano si sentiva a casa propria a Parigi come a Napoli, a Madrid come a Berlino, a Londra come a Vienna. Giacomo Casanova ci ricorda che una cultura europea esisteva e possiamo sentirci parte di un’unica comunità di uomini e donne: i popoli europei possono e devono agire, come ci insegna la Storia, come un unico popolo.

Le affinità devono tornare a prevalere rispetto alle differenze, che sono un elemento che se non male interpretate costituiscono un elemento di ricchezza dell’Europa. La questione è politica ed è stato un grande errore ridurre l’Europa a pura compatibilità di Bilancio. L’Europa non è solo finanza e burocrazia ma si tratta di un’idea politica».

Lei ha parlato di leadership tedesca. Adesso lo scenario è un po’ diverso. Con Zelensky e i suoi imperativi verso gli Stati europei e la Nato, come la mettiamo?

«Questo è un conflitto regionale e a mio avviso deve essere circoscritto. La pluralità delle opinioni va bene ma il tratto involutivo è la divisione dovuta all’informazione: il dibattito pubblico si polarizza in bianco o nero e non esistono sfumature. Credo che così facendo si esasperi la conflittualità che storicamente tende alla spaccatura. L’attuale meccanismo di informazione esaspera le divisioni e favorisce la spaccatura della società, creando potenzialmente opposti estremismi. In qualunque settore.

Ciò non è un bene, perché dal pluralismo delle opinioni – come insegna Carli – dipende il progresso. Nel senso che può venir fuori il messaggio: o sei pro-Putin o contro. Invece dobbiamo poter dire che il conflitto va tenuto circoscritto sebbene Putin abbia le sue responsabilità di invasore. Noi dobbiamo fare di tutto affinché questa guerra finisca il prima possibile ed evitare che un conflitto regionale sconfini in una guerra mondiale. Esprimere questo concetto che punta alla Pace non significa essere per o contro qualcuno, sia rispetto a Zelensky che a Putin. Si tratta di un conflitto locale e deve rimanere tale: è nostro dovere favorire il cessate il fuoco».

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