Attacco Usa ai siti nucleari in Iran, ma qualcosa non torna: quali effetti sui Mercati? Energia su del +20% e non solo

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Aleggia ancora un’aura di mistero su come si sia svolto davvero l’attacco Usa ai siti nucleari in Iran, così come nella risposta “blanda” di Teheran. Mentre il mondo attende comunque uno stop ai conflitti, ciò che è certo è che le conseguenze economiche ci saranno. I Mercati, al momento, restano cauti, ma alcuni esperti prevedono scenari molto incerti.

Prezzi del petrolio pronti a esplodere? La questione stretto di Hormuz è ancora aperta

Al momento in cui scriviamo, il Presidente Trump ha “promesso” 12 ore di cessate il fuoco e poi la pace completa. Ma i prossimi giorni saranno cruciali per capire quali conseguenze reali sui Mercati avranno innescato gli attacchi ai siti nucleari iraniani. Innanzitutto ci sarà da svelare l’effettiva entità dei danni, su cui vige ancora una comunicazione vaga, inoltre anche nel lungo termine gli esperti prevedono ampia volatilità.

  • Stando all’analisi effettuata dal Team Macroeconomisti di ING, infatti, “le conseguenze economiche più probabili degli attacchi statunitensi riguarderanno l’incertezza generale e il prezzo del petrolio“.
  • Le ipotesi di Gregor Hirt, CIO Multi Asset di AllianzGI, confermano il sentiment: “gli investitori dovrebbero prepararsi a una turbolenza di breve periodo, con i prezzi dell’energia e le aspettative di inflazione in primo piano, ma potrebbero cogliere opportunità per costruire posizioni approfittando di reazioni eccessive del mercato“.

Non dobbiamo dimenticare che l’ipotesi di una chiusura dello stretto di Hormuz, da cui passa un quarto del commercio petrolifero mondiale così come circa il 20% del commercio globale di GNL, innescherebbe una crisi difficilmente risolvibile in un breve periodo, anche se la Fed dovesse intervenire con tagli dei tassi, se gli Usa aumentassero le trivellazioni o se si pensasse alla capacità produttiva inutilizzata dell’OPEC, che in questo caso trovandosi nel Golfo Persico non aiuterebbe.

Fed e BCE sono d’accordo: l’onda d’urto delle conseguenze del conflitto deve ancora raggiungere Stati Uniti ed Europa

Al momento i Mercati, come accennato poco sopra, sembra abbiano reagito senza reazioni di panico. Forse perché ormai gli shock sono diventati piuttosto frequenti e si assiste a una sorta di “abitudine” a questo trend. Ma, sempre secondo i Macroeconomisti di ING; potrebbe trattarsi della calma prima della tempesta.

Oltre alla minaccia derivante dall’aumento dei prezzi del petrolio, l’incertezza a livelli elevati rappresenta un ulteriore fattore che limita la vivacità dell’attività economica negli Stati Uniti e nell’Eurozona. Come se non avessimo avuta abbastanza. Il nuovo picco dei prezzi del petrolio minaccia di stravolgere l’attuale trend che vede le pressioni disinflazionistiche superare quelle inflazionistiche sia negli Stati Uniti che nell’Eurozona. Situazione già messa alla prova dal previsto impatto inflazionistico dei dazi statunitensi.

Probabilmente la Fed taglierà i tassi da settembre, partendo con 50 punti, mentre è poco probabile che la BCE faccia altrettanto; anzi, sembra che i tagli di luglio ipotizzati fino a poco tempo fa siano già in discussione. Questo significa, per l’Europa, uno scenario davvero preoccupante: i prezzi dell’energia potrebbero salire del 20%, riducendo così la crescita economica fino al 2027 di 0,1 punti all’anno. L’inflazione potrebbe ricominciare a salire di 0,3 punti nel 2026 e di 0,6 punti nel 2027. Famiglie e imprese europee, ancora provate dagli shock in corso, reggerebbero con maggior difficoltà rispetto al popolo statunitense.

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