Su Opzione Donna il Governo Meloni sfoglia la margherita, dietrofront o rilievi di costituzionalità

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In vista dell’approvazione definitiva della Legge di Bilancio in Parlamento, su Opzione Donna cambia tutto per non cambiare nulla? Ecco come e perché, infatti, l’Esecutivo di centrodestra sarebbe pronto a fare un passo indietro sulla misura di pensionamento anticipato per le lavoratrici.

Per il pensionamento anticipato delle lavoratrici nel 2023, con la misura Opzione Donna, il Governo italiano sembra essere sempre più propenso a tornare sui suoi passi. In un primo momento, infatti, la misura è stata prorogata per il prossimo anno con delle modifiche importanti. Ovverosia con l’età del pensionamento anticipato collegato al numero dei figli.

Ma potrebbero sorgere al riguardo dei rilievi di costituzionalità. Ragion per cui, al fine di non correre rischi, l’Esecutivo di centrodestra potrebbe confermare Opzione Donna con gli stessi requisiti in vigore per il 2022. Ovverosia con 35 anni di contributi previdenziali versati e con 58 anni di età per le lavoratrici dipendenti. Ed un anno in più di età richiesto, invece, per le lavoratrici autonome.

Su Opzione Donna il Governo Meloni è pronto a fare un passo indietro?

Invece, nella prima bozza della manovra, Opzione Donna 2023 permetterebbe alle lavoratrici di andare in pensione a 58 anni. Con due o più figli. A 59 anni con un solo figlio. Ed a 60 anni in tutti gli altri casi. Quindi, rispetto all’Opzione Donna 2022, con queste modifiche dal 2023 sarebbero penalizzate le donne senza figli. E per tutte sempre con almeno 35 anni di contributi previdenziali versati.

In base alle ultime indiscrezioni, quindi, Opzione Donna sarà prorogata ma non modificata. E comunque la misura dovrebbe essere superata nel 2024 con la riforma strutturale della previdenza pubblica che il Governo di centrodestra intende varare tra quelli che sono gli obiettivi della legislatura.

Su Opzione Donna il Governo Meloni, quindi, è pronto ad un passo indietro. Mentre i Sindacati, nel frattempo, non sembrano essere soddisfatti della mini riforma delle pensioni varata proprio dall’Esecutivo di centrodestra.

Perché la mini riforma delle pensioni anticipate non piace ai Sindacati

I Sindacati, in particolare, lamentano l’introduzione della Quota 103 che l’anno prossimo andrebbe ad avvantaggiare, con il pensionamento anticipato, poche decine di migliaia di lavoratori. La Quota 103, nota anche come Quota 41 ibrida, permetterà infatti l’anno prossimo il ritiro dal lavoro a 62 anni di età. Ma serviranno ben 41 anni di contributi previdenziali versati. Mentre andrà a scadenza nel corrente mese la Quota 102 introdotta dal Governo Draghi. Ovverosia quella che permette il ritiro dal lavoro a 64 anni di età. Con 38 anni di contributi previdenziali versati.

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