Nel 2023 in pensione a 63 anni ma non con l’APE sociale

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Si aprono scenari interessanti per quanto riguarda le pensioni per il 2023. Infatti cominciano a trapelare alcune ipotesi che provengono da proposte di riforma del sistema che potrebbero tranquillamente essere introdotte nel nostro sistema. Per esempio sta tornando in auge una vecchia proposta contenuta in un disegno di Legge del 2013. Una proposta che prevede l’uscita dal lavoro a partire dai 63 anni di età. E quindi si aprono a queste ipotesi secondo le quali nel 2023 in pensione a 63 anni ma non con l’APE sociale potrebbe diventare realtà. Se davvero il sistema nel 2023 subirà un correttivo, a 63 anni di età potrebbe essere introdotta la flessibilità.

Nel 2023 in pensione a 63 anni ma non con l’APE sociale

È stato recentemente l’ex Presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano a tornare a parlare della pensione a 63 anni con penalità. In pratica, il rappresentante del PD ha riproposto una sua vecchia idea di riforma delle pensioni. Un ritorno al passato vero e proprio, dal momento che parliamo del DDL 857. La via prescelta da Damiano (con Gnecchi e Baretta) era quella di una pensione flessibile a spese del pensionato. Infatti la proposta mira a consentire l’uscita da parte dei lavoratori al raggiungimento dei 63 anni di età. La flessibilità sta tutta nel fatto che è il pensionato che deve scegliere se lasciare il lavoro o se continuare. E tutto parte da una penalizzazione tra il 2% e il 3% per ogni anno di anticipo.

Flessibilità con tagli di assegno nel futuro delle pensioni

Il fatto che il lavoratore deve rimetterci una parte della pensione uscendo prima dal lavoro è fondamentale per parlare di misura flessibile. Non esiste flessibilità senza penalizzazioni, dal momento che una pensione a 63 anni neutra da tagli, diventerebbe una autentica pensione di vecchiaia alternativa. La misura proposta da Damiano sarebbe come età di partenza identica all’APE sociale. Ma con un vantaggio non indifferente. Infatti sarebbe una misura aperta a tutti i lavoratori e non a quelle categorie limitate che possono avere accesso all’anticipo pensionistico.

Evidente il vantaggio in termini di carriera necessaria per la pensione a 63 anni

Inoltre con la misura di cui parliamo il limite dei contributi minimi da detenere è migliore rispetto all’APE sociale. Per quest’ultima servono tra i 30 ed i 36 anni di contribuzione previdenziale versata. Per l’ipotesi Damiano ne basterebbero 20. È vero però che la penalizzazione in termini di assegno è piuttosto cospicua. Il 3% all’anno potrebbe significare un taglio di 12 punti percentuali sulla pensione. Si tratterebbe di 120 euro di taglio ogni 1.000 euro di pensione spettante. Un sacrificio per chi sfrutta l’anticipo massimo non certo indifferente. Una penalizzazione che potrebbe persuadere molti potenziali beneficiari di questa misura a rimandare l’uscita dal lavoro.

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