Praticamente tutti sanno cos’è il mobbing: una pratica adottata in alcuni ambienti di lavoro volta a creare difficoltà e un danno psicologico al lavoratore “preso di mira” e, alla fine, farlo licenziare volontariamente. Il mobbing ovviamente non è tutto qui: si tratta di un fenomeno molto ampio, con tantissime sfumature, tanto che persino riconoscerlo – e dunque difendersi – a volte è molto difficile. Con le nuove modalità di lavoro agile, inoltre, si è creato anche lo smart mobbing. Sembra quasi una barzelletta ma purtroppo non lo è. Ecco dunque come riconoscere se si rientra in questa circostanza e soprattutto come difendersi utilizzando le Leggi e normative vigenti.
Mobbing e Smart Mobbing: definizione
La differenza sostanziale tra i due tipi di abuso sul lavoratore è ovviamente il fatto che il mobbing avviene in ufficio, in fabbrica, o comunque nella sede fisica del lavoro. Lo smart mobbing avviene tramite le tecnologie che – soprattutto dalla pandemia di Covid del 2020 – hanno permesso nuove modalità di lavoro, cioè a distanza. Come sappiamo, il lavoro agile si può svolgere in diversi modi: lavoratore dipendente parzialmente in azienda e parzialmente a casa; totalmente a distanza; oppure lavoratore freelance/partita iva che lavora sempre “da casa” (o dal luogo preposto deciso) per una o più aziende, con contratti di collaborazione a progetto o altre forme di impegni professionali. Secondo una recente definizione della Suprema Corte Cassazione Civile sez. lav. – 04/03/2021, n. 6079, con il termine mobbing si intende:
un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo
Lo smart mobbing ha dinamiche leggermente diverse; lo scopo è il medesimo (escludere il lavoratore dal gruppo/team) ma si utilizzano altri mezzi, ad esempio le chat di lavoro su WhatsApp, i canali social, o le piattaforme utilizzate per espletare il lavoro. L’intento è persecutorio ed emarginante, tanto che alla fine molto spesso il “mobbizzato” si arrende, lascia l’incarico e cerca altre collaborazioni.
Smart mobbing: esempi
Una semplice disputa tra colleghi o tra “capo” e collaboratori, ovviamente, non rientra nel mobbing, nemmeno quello smart. Per capire se si è di fronte alla dinamica aggressiva, offensiva e vessatoria, i comportamenti di chi attua il mobbing “agile” devono essere reiterati nel tempo, con l’obiettivo di sminuire la vittima, causargli stress psicofisico, dunque anche cali di performance, fino ad arrivare a impedire al soggetto di lavorare e dunque di abbandonare quella situazione. Con tutti i disagi economici che si possono facilmente intuire.
Possono rientrare nelle attività sopra descritte i messaggi screditanti: “guarda che ti faccio sostituire dall’IA“, “sbagli sempre“, “se non ci fossi io a correggere i tuoi errori saresti già fuori di qui“, “ti stiamo pagando anche troppo per quello che fai” e simili; i toni possono arrivare ad avere un profilo minatorio: “guarda che se le condizioni contrattuali non ti stanno bene puoi sempre andare via, la porta è aperta sia in entrata che in uscita“, “basta che mi dici che te ne vai, io mi organizzo, sai quanti ce ne sono in fila che vorrebbero lavorare per noi” e simili. Anche lo sfondo sessuale può rientrare nei messaggi, come ad esempio “ti ho dato l’incarico solo perché mi piaci, ma non approfittartene“, “sei così carino/a che forse è meglio se ti metti a fare video su xxx” e simili.
Nei casi più gravi si può arrivare a falsificare/manomettere il lavoro svolto accusando ingiustamente la vittima. Il tutto in un’atmosfera in cui al lavoratore/collaboratore/autonomo/agile possono anche essere chieste performance extra, magari non retribuite, oppure può essere unilateralmente decisa una diminuzione del compenso pattuito, o quando i contatti avvengono fuori dagli orari di lavoro pattuiti, o in cui tramite le App di messaggistica non si rispettano la privacy, il diritto alla disconnessione e le giornate di riposo comunicate a colleghi o committente. Non bisogna dimenticare che se già il mobbing è una pratica violenta, illegale ovviamente e molto lesiva, lo smart mobbing lo è ancora di più perché i lavoratori autonomi non hanno tutele come quelle dei lavoratori dipendenti.
Come tutelarsi legalmente dallo smart mobbing?
Il lavoratore che pensa di essere in una situazione di difficoltà oltre il limite consentito dalla Legge (e dal buon senso, ovviamente) può rifarsi alle normative che proteggono da determinati tipi di violenza psicofisica. Lo smart mobbing può infatti rientrare nei reati penali di cyber stalking, secondo l’art. 612 bis Codice Penale. Naturalmente, il soggetto deve dimostrare con prove concrete e fatti che si tratta di una violenza reiterata nel tempo, e comunque volta a creare un danno grave. Fondamentale è dunque rivolgersi a un legale, in modo che possa accompagnare il lavoratore mobbizzato, se necessario, verso una causa in giudizio.