Fondo pensione e TFR: pro e contro dell’accantonamento e dell’investimento

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Le difficoltà, peraltro non nuove, del sistema pensionistico in Italia mettono i lavoratori oggi davanti a scelte difficili, ma necessarie. Visto che le prospettive parlano di massimo il 70-75% dello stipendio che diventerà pensione, qual è il modo giusto per garantirsi una pensione decente? Almeno per i lavoratori dipendenti del settore privato, c’è la possibilità di scegliere se lasciare il TFR (trattamento di fine rapporto) in azienda, e dunque ottenerlo alla conclusione del rapporto di lavoro, oppure ricorrere a un fondo pensione, che può assicurare la possibilità di investire queste somme e, sul lungo periodo, ricavarne un guadagno che permetta di godersi la terza età in modo più facile. Ma come funziona? Scopriamolo insieme.

Come funziona l’accantonamento del TFR

Il TFR, che molti conoscono come liquidazione, è una somma calcolata annualmente sulla retribuzione lorda di ciascun dipendente e accantonata dal datore di lavoro, che viene poi versato da quest’ultimo alla conclusione del rapporto di lavoro, di qualsiasi tipo esso sia (dimissioni volontarie, licenziamento, chiusura aziendale ecc.).

Il TFR che viene corrisposto annualmente è pari a 7,41% circa della retribuzione lorda annua, e si può calcolare dividendo la RAL per 13,5. Tuttavia, anno dopo anno questa somma aumenta, perché viene rivalutata sulla base di quanto è stato versato negli anni precedenti. Ad esempio, su una retribuzione annua lorda di 25mila euro, la quota annua del TFR è di circa 1750, destinati ad aumentare nel corso degli anni.

Per quanto riguarda la tassazione (sì, anche il TFR, che sono somme accumulate su stipendi già tassati è sottoposto a ulteriore tassazione), questa viene applicata con una soglia minima del 23%, calcolata sull’aliquota media IRPEF versata negli ultimi 5 anni. C’è però una scappatoia, ovvero l’accantonamento sul fondo pensione, che è sottoposto a una tassazione agevolata tra il 15 e il 9%, con un calo dello 0,3% per ogni anno di permanenza, a decorrere dal 15° anno di versamento; a questi dati, si aggiunge la tassazione al 20% sui rendimenti, quindi una ulteriore riduzione sulla somma che si accumula come effetto dell’investimento.

In pratica, il guadagno ulteriore si concretizza in un modo simile a questo:

  • Se il TFR corrisponde a 50.000 euro, e viene lasciato in azienda, dopo le tasse si riceveranno 38.500 euro
  • Se il TFR corrisponde a 50.000 euro, e viene versato sul fondo pensione, dopo almeno 15 anni si riceveranno 45.500 euro, escludendo la parte di investimento, su cui le tasse da pagare saranno del 20%.

Detto ragionamento non vale, però, nel caso in cui si acceda all’anticipo TFR, una previsione che vale per i soli dipendenti privati e che è spiegata nella nostra guida.

Fondo pensione e TFR: qual è la decisione migliore?

Vediamo quindi la risposta alla domanda se sia meglio scegliere il TFR in azienda o nei fondi pensione. Ricordatevi che, indipendentemente dalla scelta, il versamento del TFR avviene entro 45 giorni dal rilascio della busta paga finale, o contestualmente a essa.

Perché lasciarlo in azienda

La scelta di mantenere il proprio TFR in azienda deve essere comunicata al datore di lavoro in forma scritta. Quando il lavoratore sceglie di lasciare il proprio TFR in azienda, occorre innanzitutto considerare due regole generali. La scelta di mantenere il TFR nell’azienda può essere revocata in qualsiasi momento, con una comunicazione da far pervenire in forma scritta. Inoltre, ha conseguenze tecnico – giuridiche differenti a seconda delle dimensioni dell’impresa. Se l’azienda ha meno di 50 dipendenti, il TFR resta effettivamente presso l’impresa e non cambia nulla rispetto alla riforma della previdenza complementare del 2007.

Se l’azienda ha più di 50 dipendenti, il TFR maturato dovrà essere trasferito al Fondo di Tesoreria (già Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto), istituto di diritto gestito dall’INPS per conto dello Stato sulla base del dispositivo della legge 296/06, e sul quale c’è il controllo della COVIP (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione). In questo caso i lavoratori continuano ad avere come unico interlocutore il datore di lavoro, il quale provvederà mensilmente al versamento di quanto dovuto. In questa situazione, ai lavoratori dipendenti in uscita il TFR verrà poi versato sempre dall’azienda, la quale poi compenserà i versamenti da effettuare in favore dell’Inps.

Lasciare il TFR in azienda è una soluzione che non richiede ulteriori passaggi e, per molti, può risultare complessivamente più semplice da gestire, soprattutto se non si hanno particolari competenze in maniera fiscale e previdenziale.

Perché destinarlo a un fondo pensione

Qualora il lavoratore decida di destinare il proprio TFR a un fondo pensione, la scelta di aderire alla previdenza complementare è irrevocabile. Tuttavia, l’iscrizione alla previdenza complementare prevede delle agevolazioni fiscali, come abbiamo visto, che possono massimizzare la possibilità di arrivare al pensionamento con una somma più significativa in tasca, e con minori tasse da pagare.

Nonostante ciò, è una scelta da effettuare prevalentemente all’inizio del proprio percorso lavorativo, poiché i vantaggi connessi alla minore tassazione si acquisiscono dopo 15 anni di versamenti costanti.