Verso la cosiddetta Fase 2: quali scenari?

coronavirus fase 2

Abbiamo esaminato, in precedenti articoli, talune problematiche legate al Covid-19 ed ho spiegato qui perché parlerei piuttosto di una fase 1 bis, invece di una possibile fase 2.

A mio avviso, non si hanno ancora le idee troppo chiare su cosa fare o non fare in merito alla cosiddetta riapertura e, quindi, visto che stiamo andando verso la cosiddetta fase 2: quali scenari?

Di seguito una scaletta dei temi trattati per meglio orientarci:

  • Aperture e rischio di contagio
  • Organizzazione d’impresa e compatibilità con attività aziendali
  • Parametri economici e regole
  • Regole e paure

Il senso generale del mio intervento, va nella direzione di mostrare come molte attività non siano compatibili con sufficienti criteri di sicurezza.

In molti casi, poi, molte regole non sarebbero compatibili neppure con normali criteri di gestione aziendale o di rapporto con la clientela.

E per comprendere questo, non è necessario fare alcun ricorso a chissà quale commissione di veri o presunti esperti.

Insomma, per scoprire l’acqua calda, Conte o altri ministri, non hanno certo necessità di articolate ed elaborate consulenze.

Verso la cosiddetta Fase 2: aperture e rischio di contagio

Alcune attività possono aprire solo a rischio di probabile contagio.

Un esempio su tutti: il barbiere.

Certo, un operatore in questo settore potrebbe anche ricevere solo su appuntamento, ma poi?

Arriva il cliente, ed il barbiere dovrà pur tagliargli barba e capelli.

Anche ammesso che il barbiere indossi mascherina e guanti, un rischio di contatto esiste ugualmente, vista la distanza ravvicinata (non dimentichiamoci che una delle misure principali anticontagio dovrebbe pur sempre essere il distanziamento).

Ma poi, come farebbe a gestire l’attività? Deve proprio contingentare il tempo, perché poi arriva il successivo cliente.

Ah, altro problema, da non dimenticare: e se, come nelle vecchie consuetudini pre-coronavirus, l’altro cliente arriva in anticipo?

Magari, per garantire il distanziamento, lo fa attendere fuori dalla porta?

Non tutti i locali di barbiere hanno dimensioni sufficienti, per far attendere all’interno nuovi clienti. Ma vedremo che i problemi non finiscono qui, ed infatti pare che queste attività rientrino tra quelle che probabilmente apriranno per ultime.

Organizzazione d’impresa ai tempi di coronavirus

Organizzazione d’impresa significa gestione di tutti i fattori che contribuiscono all’attività imprenditoriale.

Ed è proprio la gestione di tali elementi, che spesso si rivela inidonea ad osservare determinate norme anticontagio.

A meno di non procedere ad una completa modifica di molte parti degli apparati produttivi, sappiamo ad esempio che una catena di montaggio di prodotti in serie, come gli autoveicoli, è fatta in un certo modo, richiede la presenza di un determinato numero di lavoratori in contemporanea, etc.

Insomma, presenta caratteristiche tali, da renderla incompatibile con certe regole. Come si può quindi pensare ad un distanziamento, che comporterebbe un minor numero di lavoratori? Su questo problema impatta anche la logistica dei trasporti. Se una parte cospicua dei dipendenti aziendali va al lavoro con mezzi pubblici, certo il distanziamento sui medesimi, se vi vuol garantire lo stesso numero di accessi al lavoro entro una determinata tempistica, si potrebbe ottenere con un aumento del numero di mezzi sullo stesso percorso, ma appunto, anche qui è necessaria una ristrutturazione della linea di percorso, quanto meno incrementando il numero di mezzi a disposizione.

Ne consegue un altro aspetto fondamentale.

Parametri economici e regole

Anche in quei casi in cui certe regole possano essere rispettate, la loro attuazione comporterebbe una significativa modifica dei risultati economici aziendali.

Ad esempio perché bisognerebbe modificare, eventualmente, le catene di montaggio, da cui la necessità di notevoli investimenti.

Oppure abbiamo visto che anche le aziende di pubblico trasporto dovrebbero fare la loro parte, incrementando il numero dei mezzi di trasporto.

Ma comunque, anche laddove non fosse necessario fare tutto questo, è evidente che i numeri di un’attività muterebbero completamente.

Anche solo nel caso del parrucchiere, quanti clienti in medo potrebbe ricevere tutti i giorni, dovendo garantire che non ne entri più di un certo numero?

Certo, dal punto di vista del bilancio si potrebbe osservare che i costi cosiddetti variabili diminuirebbero in misura direttamente proporzionale al diminuito numero di clienti.

Ma non esistono solo i costi variabili, esistono anche quelli fissi, come il personale retribuito non a provvigione, i costi energetici, il canone di affitto dei locali, etc.

Covid-19, verso la cosiddetta Fase 2

Come vediamo, è inutile negarlo. Ristrutturare un’attività seguendo certe regole, anche laddove possibile, rischia di compromettere i bilanci aziendali, e probabilmente molti imprenditori, soprattutto quelli piccoli e medi, che non godono di chissà quali disponibilità liquide, non potrebbero continuare ad esercitare la loro attività.

Ecco, direi che la famosa attività delle commissioni istituite dovrebbe occuparsi sopratutto di questo aspetto: come conciliare determinate regole di prevenzione con il volume d’affari ed i numeri di bilancio, in modo da consentire alle attività di continuare a realizzarli, pur nel rispetto di determinate regole.

Ma mi domando: il governo si sta ponendo questo problema, ne è consapevole? Ed è consapevole che, diversamente, molte attività chiuderebbero?

Del resto, è ovvio che un imprenditore non sia interessato a continuare a svolgere la propria attività, prescindendo dai risultati della medesima.

Ma ci si dovrebbe porre anche un’altra questione: ci si rende conto che comunque determinate attività proprio non possono applicare determinate regole, come distanziamento sociale o uso di mascherine?

Una su tutte: la produzione di film, telefilm e fiction.

Ve lo immaginate? Far recitare tutti gli attori a distanza, e magari tutti con la mascherina?

È quindi evidente, come io sostengo, che il problema coronavirus va affrontato di petto, direttamente, perché diversamente significa solo cercare di evitarlo.

Ma è evidente che non lo puoi evitare, se non chiudendo indefinitamente determinati tipi di attività e, ripeto, non occorrono certo chissà quali esperti per capirlo.

Quindi, che fare?

Regole e paure

Come risolvere il problema coronavirus è un tema sul quale già ho espresso la mia opinione altre volte, condividendo quella corrente di pensiero che fa riferimento a metodi, anche naturali, di autoimmunizzazione. Già esistenti.

Tema sul quale non esiste però un unanime riscontro da parte della medicina.

D’altra parte, come abbiamo visto in chiusura del precedente paragrafo, alcune attività è quasi scontato che non potranno riprendere, se si devono rispettare determinate regole.

Ma questo, per certi versi, vale anche per le attività che queste regole potrebbero rispettarle.

Occorre poi tener conto anche dell’effetto paura.

Ragioniamo un attimo. Se occorre osservare determinate regole, significa che il rischio è ancora attuale, presente. E, quindi, si obbligano comunque le persone a lavorare con il timore di potersi infettare, che non viene meno completamente, solo perché si osservano le regole. Lo stesso possiamo dire della clientela, che in ogni caso potrebbe continuare ad aver paura, pur in presenza degli accorgimenti. Anzi, paura determinata proprio dal dover rispettare determinate regole. Ma questo significa anche che probabilmente si determinerebbe un diminuito volume d’affari non solo per osservanza di certi principi, ma anche per la paura di contrarre il contagio da parte di potenziali clienti.

Aggiungiamo anche il clima di pessimismo e, appunto, di paura, che si determinerebbe, e comprendiamo perché o la ripartenza sarà vera, senza limiti e accorgimenti, oppure molte attività chiuderanno.

Del resto, pensiamo anche solo a quanto segue: con che spirito si andrebbe, ad esempio, in un ristorante, o dal barbiere, vivendo un clima di un certo tipo?

I rischi e le tipologie di attività

Probabilmente, il rischio di chiudere sarà quasi completamente escluso solo per quelle attività che riguardano beni essenziali, come il settore alimentare.

Ma, negli altri casi, nutro il dubbio che molti cercheranno una riconversione verso questi settori, oppure avranno seri problemi.

Fortunatamente, con il passaggio dalla cosiddetta era industriale a quella digitale, unitamente all’estensione dell’economia dei servizi, abbiamo anche assistito a cambiamenti economici ed imprenditoriali compatibili con smart working e target di clientela, già abituati ai rapporti a distanza, come nelle aziende che vendono on line.

Il passaggio a questo tipo di economia compenserà in parte, probabilmente,   un tipo di impostazione economica più tradizionale, che presenta le problematiche, di cui sopra.

Nel frattempo, intanto che il problema si risolva definitivamente dal punto di vista medico, il governo pensi a come sostenere soprattutto le attività tradizionali, senza burocrazie, senza ritardi, e soprattutto senza incertezze.

A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT

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