Venti di Guerra

Portofino

A cura di Gian Piero Turletti
Staff di Proiezionidiborsa

OGGI SCADE OFFERTISSIMA fino al 17 Novembre su Inverted Signal

Credo non debba stupire un articolo dedicato alla situazione internazionale che si sta venendo a creare, su un blog di finanza.

Ci sono da sempre eventi, circostanze, che influiscono non poco sull’andamento dei mercati, e sicuramente gli eventi bellici sono tra questi.


Occorre quindi domandarsi quali effetti una guerra può avere sui mercati finanziari e se, al di là dei recenti eventi militari, si debba pensare ad un’estensione del conflitto.

Per rispondere al primo quesito, occorre osservare come spesso le guerre abbiano sortito, nel corso della storia, quasi sempre un doppio effetto sui mercati finanziari.

In una prima fase prevalgono i timori per le conseguenze negative degli eventi bellici.

Si pensa alla distruzione di strutture anche produttive e logistiche, ad un conseguente calo nella produzione industriale, e ne consegue un ribasso spesso anche abbastanza consistente delle borse.

Nella situazione attuale, peraltro già gravata dai timori di proseguimento della crisi economica, ne derivano certo reazioni dei mercati azionari, che non possono non accentuare la situazione ribassista in essere.

Ma un’altra circostanza rilevante riguarda sopratutto il petrolio, in questo caso, visto che un conflitto destinato ad estendersi riguarderebbe probabilmente aree interessata dalla produzione o dalla logistica dell’oro nero.

 

Ad una prima fase, quindi, negativa per le borse, e rialzista su petrolio e derivati in questo caso, spesso la statistica ricorda però che ne segue una seconda, decisamente più favorevole alle borse.

Questo dipende dal fatto che spesso le borse risentono, dopo una fase di ribassi, di opinioni positive circa la fase della ricostruzione.

E’ infatti evidente che quanto viene distrutto di solito si ricostruisce, ed è il motivo per cui la produzione, che in una prima fase rallenta, poi è destinata a crescere.

 

Con ogni probabilità, queste sarebbero le conseguenze di una guerra destinata ad estendersi, anche in questo caso.

 

Ma la guerra è probabile? E su quale terreno si combatterebbe?

Diversi elementi inducevano già da tempo i più attenti analisti internazionali ad un alert  sull’area geografica, teatro dei recenti avvenimenti, alert premonitore di un possibile conflitto arabo-israeliano, ed i fatti di questi giorni lo confermano e disvelano una nuova strategia israeliana rispetto al passato.

In sintesi, questa strategia prelude ad un attacco contro l’Iran, e forse anche ad un’estensione del conflitto verso altri paesi arabi.

Questo, purtroppo, non è molto chiaro alla quasi totalità dei media occidentali, che tuttavia ignorano o sottovalutano diversi elementi.

Come invece qualcuno ricorderà, nelle nostre interviste dedicate agli scenari internazionali, avevamo sottolineato come il conflitto con l’Iran ed altri possibili paesi costituisse una minaccia seria e concreta.

Purtroppo i fatti ci stanno dando ragione, ma procediamo con ordine.

L’Iran a fasi alterne ha minacciato Israele di distruzione, e rappresenta un’area strategica di rilievo internazionale, visto anche il passaggio del golfo di Hormuz.

Poco importa che le minacce iraniane siano da prendere seriamente o meno.

Quel che conta è, ovviamente, l’opinione di chi, in base a quelle minacce, decida di intervenire preventivamente, cioè Israele.

Va anche ricordato che per il golfo di Hormuz passa circa il 30% del petrolio mondiale, e su questo golfo ci sono varie contese territoriali, anche perché la questione è complicata dal diritto marittimo internazionale, che dice talune cose, ma mai recepito, ad esempio, dagli Usa.

I paesi occidentali non hanno mai avuto un serio interesse ad intervenire militarmente contro l’Iran, eccettuato l’intervento indiretto tramite l’appoggio all’Iraq durante il conflitto con l’iran. anche perché ne deriverebbero gravi conseguenze intanto a livello petrolifero.

Invece per Israele la questione è diversa.

Nell’Iran Israele vede il possibile paese da cui potrebbe scatenarsi un attacco missilistico, peraltro legato alle minacce di distruzione.

Di qui l’ipotesi di un attacco preventivo, che fa leva sul nuovo sistema antimissilistico messo a punto da Israele.

Questo sistema, sulla carta, dovrebbe consentire ad israele una completa copertura di tutte le zone abitate da attacchi missilistici, ma non è mai stato testato in un vero conflitto.

Sta invece venendo testato in questi giorni, e quindi l’intensificazione delle operazioni militari serve comunque anche in tale ottica, cioè di un test che consenta ad Israele di capire, in situazione di conflitto con l’Iran, cosa effettivamente succederebbe con il proprio sistema antimissilistico.

Ne consegue, anche se pare cinico dirlo, che la strategia israeliana è anche quella di agevolare test di questo tipo in una situazione scatenata dal conflitto con i palestinesi.

 

Ma questo è solo uno dei motivi che inducono a considerare l’attuale situazione una sorta di preteatro di un conflitto di più vasta portata.

Tradizionalmente, in parte Israele teneva conto anche della posizione dei propri alleati occidentali, USA in testa.

Costoro, infatti, come membri della NATO, erano interessati a difendere Israele da possibili attacchi di paesi arabi, in quanto questi erano alleati dell’Unione sovietica, tipicamente la Siria.

Contenere gli attacchi arabi verso Israele significava quindi contenere e combattere l’URSS sul fronte orientale.

Ora l’Unione sovietica, invece, non esiste più, e la NATO sta mostrando evidenti segni di smobilitazione.

Il che induce Israele a ritenere che un appoggio occidentale in caso di attacco sia molto meno probabile, ed al tempo stesso a far venire meno, quindi, un interesse israeliano a tener conto delle opinioni occidentali.

Se non moltissimo tempo fa gli USA erano in grado di far presente che Israele non poteva fare tutto quello che gli pare, pena il mancato appoggio militare, ora ritiene che, in ogni caso, questo sia già venuto meno.

Del resto, a parte il venir meno dell’Unione sovietica, Obama è alle prese con problemi di bilancio, che non gli consigliano una politica disinvolta di appoggi militari, e mentre il suo precedente mandato aveva visto ai primi posti del programma proprio la questione arabo-israeliana, poi invece Obama non si è mosso in questa direzione, dimostrando un sostanziale isolazionismo internazionale.

Ed a maggior ragione non si vede perchè dovrebbe muoversi oggi.

In realtà oggi gli USA non possono dire ad Israele di fermare i propri attacchi, perché in cambio hanno poco o nulla da offrire.

 

La nuova strategia militare impone quindi agli israeliani di fare da soli e questo attacco serve a  due scopi ben precisi:

1) in caso di futuro attacco all’Iran, eliminare uno dei due possibili fronti militari contro cui si combatterebbe, in vero e proprio stile attacco preventivo, cioè si è ritenuto di disfarsi preventivamente quanto meno di una componente militare palestinese, che sarebbe pesantemente entrata in gioco, in caso di confitto con l’Iran;

2) testare sul campo un sistema antimissilistico che serve ad intercettare missili nemici, come quelli iraniani.

Se il test sul campo ottiene successo, si avvicina la guerra con l’Iran ed una resa dei conti con altri paesi arabi.

Questo non significa che necessariamente Israele attaccherà l’Iran, ma quanto meno che intende lanciargli un avvertimento che un suo attacco preventivo costituisce minaccia seria e credibile, anche per dimostrare l’efficacia del proprio sistema antimissilistico.

E’ questa la realtà.

I mercati finanziari avvertono, quindi, come probabile un’escalation del conflitto, ed hanno, al momento, reagito di conseguenza.

OGGI SCADE OFFERTISSIMA fino al 17 Novembre su Inverted Signal

 

Consigliati per te

Iscriviti per ricevere aggiornamenti sui commenti
Notificami
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments
0
Ci piacerebbe la tua opinione, per favore commenta.x