Tra le pieghe di norme e trattati: verso quale futuro per l’Europa?

Europa recovery fund

I principali media stanno concentrando, come logico, il focus delle loro redazioni economiche sul tema recovery fund.

Soprattutto all’insegna di un probabile fallimento delle trattative, almeno secondo le ultime notizie diffuse.

Quanto meno con riferimento a quelli che erano gli obiettivi iniziali in termini di stanziamento di fondi e di risorse a fondo perduto.

Tra le pieghe di norme e trattati: verso quale futuro per l’Europa?

Quale futuro si prospetta quindi per l’UE?

Una rottura definitiva?

O comunque un ridimensionamento delle ambizioni comunitarie, ed un prevalere di interessi nazionali, pronti a ricordarsi dell’Europa solo quando conviene (come del resto ebbe a dire il premier Rutte al nostro presidente Napolitano)?

Ovviamente i cosiddetti paesi frugali stanno cercando di realizzare i loro interessi, preoccupati della questione del debito pubblico.

Storicamente possono infatti vantare a tale riguardo buoni parametri di bilancio, e naturalmente i loro esecutivi devono rispondere ad elettorati, che certo non vedono di buon occhio il tema della contribuzione alle vicissitudini di altri stati, sia pur indotte da eventi non nazionali, quali una pandemia.

Inoltre ritengono paesi, come l’Italia, responsabili di un aggravamento delle condizioni economiche già in una fase pregressa, quando il covid ancora non si sapeva cosa fosse.

Però senza considerare che, storicamente, non tutti i paesi hanno le stesse caratteristiche e la medesima storia, anche economica.

Fattore, quest’ ultimo, spesso non tenuto in debito conto.

E senza quindi considerare, come invece sarebbe doveroso, che i meccanismi imposti dalla sovrastruttura europea si adattavano meglio a certe realtà, che ad altre, sin dall’inizio della costruzione comunitaria.

Le differenze economiche e sociali tra i Paesi europei

Se ad esempio un paese ha un certo sviluppo demografico, in grado di meglio gestire la spesa pensionistica, ovviamente può agevolarsi di determinate dinamiche finanziarie, che invece sono negative per altri paesi.

Pertanto è ovvio che certe politiche, finalizzate a sterilizzare la sovranità monetaria, meglio si adattavano alle caratteristiche di certi paesi, che ad altri.

Peccato che certi paesi, Olanda in testa, siano appunto filo-europei solo fino a quando loro convenga.

Ma è proprio cercando, invece, tra le pieghe di norme e trattati europei che potrebbe essere trovata una soluzione.

Le prospettive future

In particolare, volendo approfondire il tema degli interessi nazionali olandesi, bisogna domandarsi se Rutte abbia come obiettivo prioritario il fallimento, o quanto meno il ridimensionamento del recovery fund, o altro.

Forse si tratta di altro.

Non bisogna infatti dimenticare la situazione soprattutto di vantaggio fiscale, che i paesi bassi consentono in particolare alle grandi aziende facendo pagare pochissime tasse, una forma di dumping fiscale.

Ed i privilegi accordati sotto il profilo finanziario a paesi tra cui l’Olanda non terminano certo qui.

Riguardano anche i rebates, quei rimborsi che certi paesi, come l’Olanda, hanno ottenuto sulle risorse destinate all’UE, rebates che invece paesi come Francia ed Italia non hanno mai ottenuto.

Allora, questi privilegi vanno bene all’Olanda, ma il recovery fund no?

Evidentemente pare proprio così, del resto coerentemente con quanto già dichiarato a suo tempo da Rutte a Napolitano.

Sinora questa disparità di trattamento fiscale è stata sostanzialmente tollerata, ma è da tempo nel mirino di molti.

Non a caso, in ambito UE si stavano predisponendo anche direttive per vietare esplicitamente la possibilità di un trattamento fiscale a favore di certe aziende, il che naturalmente comporterebbe dei problemi per paesi come l’Olanda.

Non potrebbe quindi essere che il vero problema sia questo?

Ossia Rutte potrebbe forse anche essere disposto ad uno scambio tra recovery fund e un lasciapassare per continuare con questo tipo di politica fiscale. Unitamente alla conferma dei rebates o, anzi, in vista di una loro ulteriore estensione.

Ed allora, non sarebbe forse il caso di convergere su questi temi?

Conte li ha in effetti usati in una sorta di arringa contro Rutte, ma non basta.

Ed è qui che è opportuno leggere attentamente nelle pieghe dei trattati.

Tra le pieghe di norme e trattati europei: cosa scopriamo?

Personalmente, ho già espresso una mia opinione su quale potrebbe essere il vero rilievo del recovery fund, tema probabilmente sopravvalutato dalla maggior parte delle analisi.

Tuttavia, se proprio si volesse non solo attaccare a parole, ma nei fatti l’ostracismo danese, ci si potrebbe avvalere di alcuni cavilli giuridici spesso sottaciuti a livello di diritto europeo.

Vediamo come.

Si potrebbe infatti, anche da parte italiana e di altri paesi, prospettare una duplice iniziativa.

O emettere le famose lettere di patronage rivolte a multinazionali, finalizzate a favorire fiscalmente determinate aziende. Magari, a quel punto, garantendo migliori condizioni rispetto a quelle rese attualmente disponibili dall’Olanda.

Oppure sul fronte opposto intraprendere decise iniziative per evitare proprio il fenomeno del dumping fiscale comprese quelle direttive che vietino espressamente il dumping fiscale.

Il leggere tra le pieghe dei trattati ci permette comunque di cogliere un aspetto particolare.

Analizzando le specifiche regole europee, si nota, ad esempio, che certamente le infrazioni alle direttive europee possono essere sanzionate, se la normativa statale non vi si adegua.

Ma poi non esiste alcun meccanismo esecutivo per rendere cogente la sanzione eventualmente inflitta.

Ecco, quindi, che una sanzione potrebbe anche non essere pagata, a ben vedere.

E a quel punto ogni paese potrebbe fare come gli pare.

Tra le pieghe di norme e trattati: il bivio

Ecco che siamo quindi al bivio: consentire il dumping fiscale, ma in cambio di un sostanzioso recovery fund, oppure vietarlo espressamente, unitamente ad una abrogazione dei rebates.

In questo secondo caso, potrebbe essere l’Olanda a scegliere una sorta di uscita dall’UE. Oppure continuerebbe a fare dumping, visto che tanto eventuali sanzioni non sarebbero cogenti.

Ma a quel punto, ogni paese potrebbe fare altrettanto, in presenza di una inesigibilità delle sanzioni europee.

E quindi il giochetto del dumping, anche in presenza di eventuali sanzioni comminate a livello comunitario, poi inadempiute, potrebbe ritorcersi contro la stessa Olanda, perché ad ogni prospettiva di vantaggi fiscali potrebbe contrapporsi la proposta più vantaggiosa da parte di un altro stato.

Ci troviamo quindi di fronte ad un possibile bivio.

Verso una Europa più coesa nei fatti, oppure verso una sorta, come disse Rutte, di Europa sì, ma solo finchè conviene. Ma a quel punto i vantaggi derivanti, per l’Olanda, da rebates e dumping fiscale potrebbero venire meno, o essere pesantemente ridimensionati.

Soprattutto considerando che forme di rivalità fiscale, anche se contrarie al diritto europeo, comunque più in un’ottica de jure condendo, che de jure condito, sarebbero poi soggette a future, probabili sanzioni da inadempimento delle normative nazionali, ma la cui corresponsione non è soggetta a forme vincolanti, in assenza di specifici strumenti sulla esecutività delle stesse.

A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT

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