Società in accomandita semplice e carenza di legittimazione attiva e passiva del socio accomandante

Corte di Cassazione

Società in accomandita semplice e carenza di legittimazione attiva e passiva del socio accomandante, rispetto alle obbligazioni tributarie, salve le deroghe alla regola generale di cui all’art. 2313 c.c.. Studiamo il caso.

I rapporti interni alla compagine societaria, nelle società in accomandita semplice, sono disciplinati dalla disposizione di cui all’art. 2313 c.c., la quale prevede un diverso regime di responsabilità in capo ai soci accomandatari ed agli accomandanti, per le obbligazioni sociali.

I primi rispondono solidalmente ed illimitatamente, mentre i secondi solo limitatamente alla quota conferita.

In dottrina e giurisprudenza, si è posto il quesito della sussistenza di una legittimazione processuale, attiva e passiva, dei soci accomandanti, rispetto alle pretese azionate da creditori sociali, incluso l’erario, per obbligazioni di natura tributaria (Crediti IVA; IRPEF).

La risposta alla quaestio iuris ha il suo fondamento in una corretta interpretazione della disposizione codicistica richiamata, anche sistematica, ovvero in combinato disposto con altre disposizioni del codice civile, quali quelle disciplinanti eccezioni alla regola generale mutuata dall’articolo in commento.

Secondo la dottrina maggioritaria, l’art. 2313 c.c. si limita a disciplinare i rapporti interni tra soci, ovvero a fissare i profili di responsabilità degli accomandatari e degli accomandanti verso la società, non verso terzi estranei alla compagine societaria. Ne discende il postulato interpretativo secondo cui i creditori sociali, incluso l’erario, non sono autorizzati ad agire direttamente nei confronti del socio accomandante.

Società in accomandita semplice e carenza di legittimazione attiva e passiva del socio accomandante

Interpretazione, quest’ultima, avallata da una lettura di sistema delle eccezioni alla regula iuris mutuata dalla disposizione normativa sopra citata: l’art. 2314 c.c., che tipizza la responsabilità illimitata del socio accomandante di fronte a terzi, nel caso in cui consenta l’inserimento del proprio nome nella ragione sociale.; l’art. 2320 c.c., che fa derivare tale illimitata e solidale responsabilità dalla violazione del divieto di immistione da parte dell’accomandante; l’art. 2324 c.c., che consente ai creditori di far valere i propri crediti, nei confronti dei soci accomandanti, in fase di liquidazione.

Di particolare rilievo, al fine di circoscrivere l’applicabilità della regola di diritto mutuata dall’art. 2313 c.c. summenzionato, appare la disposizione da ultimo riportata, nella misura in cui limita l’opponibilità dei crediti, tra cui certamente anche quelli erariali, verso i soci accomandanti, alla sola eventuale fase della liquidazione della società.

Ne deriva, in base ad un sillogismo aristotelico, che i creditori sociali possono agire in giudizio, nei confronti dei soci accomandanti, nei soli casi contemplati dalle eccezioni riportate.

Regolando, invece, la disposizione di cui all’art. 2313 c.c., i soli profili di responsabilità dei soci, verso la società stessa ed all’interno della compagine societaria.

Di tale avviso è anche la giurisprudenza di diritto, che si è espressa in tal senso con una recente pronuncia: cfr: Cass. Civ. sez. V tributaria, n. 13565 del 19 Maggio 2021, di accoglimento del ricorso esperito avverso sentenza della Commissione Regionale della Lombardia, la quale ultima aveva rigettato il ricorso della contribuente avverso un avviso di accertamento IVA ed IRPEF relativo all’anno 1999.

La Suprema Corte, al riguardo, dopo aver sposato l’orientamento dottrinario succintamente riportato ed il relativo inquadramento normativo sistematico, non ha mancato di esaminare l’orientamento giurisprudenziale ad esso opposto, per poi pervenire alle medesime conclusioni in punto di diritto.

Degno di menzione è, per vero, l’iter logico-argomentativo seguito dall’Organo di Nomofilachia che, muovendo da assunti contrapposti, conduce alle stesse deduzioni.

Per poi sussumere il caso concreto sottoposto ad esame nelle coordinate ermeneutiche tracciate ed accogliere le doglianze della contribuente.

Segnatamente, La Corte osserva che i precedenti giurisprudenziali (ex multis: Cass. 23.12.2014, n. 27337), secondo i quali il socio accomandante è direttamente responsabile verso l’erario o che comunque annettono al medesimo la qualifica di contribuente, hanno ad oggetto le imposte sul reddito.

Fatta questa premessa, i Magistrati ricordano che anche con riferimento alla responsabilità del socio accomandante occorre operare la distinzione, fatta per le società di persone, sia pur ad altri fini, tra: obbligazioni tributarie in materia di IVA e obbligazioni nascenti da redditi di impresa.

In quest’ultima ipotesi, secondo la regola di cui all’art. 5 del TUIR, i redditi delle società di persone, incluse quelle in accomandita semplice, “Sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili”.

In materia di IVA, invece, l’obbligazione tributaria si plasma sulla struttura della società di persone, con il conseguente litisconsorzio necessario tra soci e società e ferma restando la sussidiarietà della responsabilità dei singoli soci rispetto a quella della societas.

Per tale via, la Suprema Corte afferma che la sentenza impugnata è viziata, per avere erroneamente ritenuto che la qualifica di accomandante sia sufficiente a fondare la sua responsabilità verso i creditori sociali, per crediti IRPEF, con conseguente cassazione della pronuncia ed accoglimento del ricorso proposto dalla contribuente.

L’Organo di Nomofilachia ha quindi enunciato la massima di diritto secondo cui: “Il socio accomandante è privo di legittimazione attiva e passiva, rispetto alle obbligazioni tributarie, riferibili alla società, salve le deroghe alla regola di cui all’art. 2313 c.c.”.

Quest’ultima disposizione, infatti, nel limitare la responsabilità dell’accomandante per le obbligazioni sociali alla quota conferita, non autorizza i creditori sociali, incluso l’erario, ad agire direttamente nei suoi confronti, limitandosi a delimitare i rapporti interni alla compagine societaria.

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