Siamo di fronte ad una nuova crisi dell’euro?

euro dollaro

Esattamente 10 anni fa, l’Europa si trovava all’apice di quella che è passata alla storia come “la crisi dell’euro”, la quale ebbe come suo emblema la crisi finanziaria della Grecia, con tutto quello che ne conseguì in termini economici e sociali. Il celeberrimo “whatever it takes” dell’allora governatore della BCE Mario Draghi intervenne poi nel tentativo di salvare l’euro dall’effetto break-up. Oggi, siamo di fronte ad una nuova crisi dell’euro?

La strategia di Draghi si sostanziò nell’inaugurazione di politiche monetarie ultra-espansive, messe a terra da un programma straordinario di acquisto di asset da parte della banca centrale (Quantitative Easing) e dalla politica dei tassi di interesse nulli o negativi. Questa stance di politica monetaria ha caratterizzato l’ultimo decennio dell’eurozona. Il piano ha funzionato, almeno se lo si valuta in relazione alla sua capacità di aver salvato la moneta unica.

Ma, lo stesso Draghi lo preannunciò, si trattava di un programma necessariamente temporaneo, per quanto non di breve periodo e prima poi le condizioni di normalità della politica monetaria avrebbero dovute essere ripristinate.

Adesso, quel momento è arrivato.

Ed è giunto per effetto di una recrudescenza inflazionistica post-pandemica che nessuno, a partire proprio dagli economisti della BCE, aveva previsto. E anche quando i primi analisti dei mercati finanziari avevano cominciato a lanciare l’allarme, come abbiamo scritto diverse volte, in pochi, se non nessuno, a Francoforte ha prestato orecchio a queste voci. Fino alla svolta di qualche settimana fa, quando gli stessi economisti della BCE hanno recitato il mea culpa sulla loro incapacità di reputare l’inflazione corrente come un fenomeno permanente, anziché transitorio.

La logica conseguenza di questa ammissione è stata la necessità di far capire apertamente che la BCE provvederà a seguire lo stesso percorso di normalizzazione della politica monetaria già seguito dalla Federal Reserve e dalla Banca d’Inghilterra, da realizzare attraverso la cessazione del Quantitative Easing (dalla prossima estate) e l’aumento dei tassi d’interesse.

Siamo di fronte ad una nuova crisi dell’euro?

Il problema, per quanto riguarda la seconda azione, è che il capo economista di Francoforte Phillip Lane ha dichiarato la scorsa settimana che l’importante non è dire quando avverrà il primo rialzo dei tassi (l’ipotesi avanzata era per la riunione del prossimo luglio), ma piuttosto il numero di rialzi che verranno decisi e in quanto tempo, specificando, comunque, che l’attuale tasso compreso tra -0,5% e 0% non è in linea con un’inflazione al 2% (il target obiettivo della BCE).

Questa dichiarazione non ha quindi chiarito le reali intenzioni di Francoforte, la cui forward guidance rimane la più incerta e opaca tra quelle di tutte le altre banche centrali. Una mancanza di chiarezza che non contribuisce certo a risollevare la reputazione dell’istituto, dopo la perdita di autorevolezza causata dall’errore di sottovalutazione della natura dell’inflazione.

In questo scenario, i rendimenti sovrani continuano nel frattempo a salire. Il decennale del BTP ha ormai superato il livello psicologico del 3,0% e lo spread con il bund ha toccato i massimi livelli dallo scoppio della pandemia. Gli analisti cominciano quindi a riprezzare i bond sovrani scontando il venir meno del sostegno della BCE, nella consapevolezza che, dopo la pandemia, molti stati dell’eurozona si troveranno con dei rapporti debito/PIL superiori a quelli che avevano nella precedente crisi dell’euro.

Nel confronto tra 2021 e 2011, la Spagna ha un rapporto superiore addirittura del 70%, la Francia del 29% e l’Italia del 26%.

A riprova del fatto che il decennio di bonanza finanziaria non è affatto servito a migliorare le finanze pubbliche, come sperava e suggeriva di fare Mario Draghi in ogni sua conferenza stampa.

Certamente, nell’ultimo decennio i tesori degli Stati membri hanno approfittato dei bassi di interesse per allungare la duration media del loro portafoglio titoli. Una mossa indovinata che ha permesso di rendere il debito domestico molto meno sensibile alle variazioni dei tassi d’interesse. Purtroppo, il non aver approfittato dei bassi tassi per abbassare lo stock di debito potrebbe costare molto caro ad alcuni stati, che presto potrebbero trovarsi con la stessa spesa per interessi di quella che avevano nel 2011. E non è affatto scontato che, la prossima volta, la BCE sia nelle condizioni di potere adottare un altro “whatever it takes” per risistemare le cose. Siamo di fronte ad una nuova crisi dell’euro, quindi?

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