Scenari politici ed economici: dall’iva all’Ilva

Scenari politici ed economici

Negli ultimi giorni gli scenari politici ed economici italiani sono stati caratterizzati soprattutto da due eventi, le modifiche alla legge finanziaria e l’Ilva.

Ora, sulla base degli ulteriori eventi, legati soprattutto all’incontro tra i Mittal ed il governo, facciamo chiarezza su alcuni punti, seguendo la seguente scaletta:

  • Finanziaria: cosa cambia e quali problemi si dovranno affrontare?
  • Ilva: le richieste dei Mittal
  • Scudo legale: tesi a confronto
  • Le soluzioni ed i possibili esiti

Finanziaria: cosa cambia e quali problemi si dovranno affrontare?

La finanziaria era stata criticata da più parti, soprattutto a fronte dell’introduzione di nuove imposizioni fiscali.

Alla luce degli ultimi aggiornamenti, pare invece che si voglia abbandonare, o quanto meno rinviare, l’introduzione della plastic tax e della tassazione sugli autoveicoli aziendali. Rimarrebbe la sugar tax.

Ovviamente, si pone il problema delle coperture, che sarebbero derivate da tali voci, a meno di non pensare ad ulteriore deficit, ma in tal caso, cosa ne penserebbe l’Ue, e per risolvere il problema, quali sono le posizioni dei partiti di governo? Si rischia una nuova crisi?

Peraltro questo governo pareva nato soprattutto con lo scopo di evitare incrementi dell’Iva.

E’ un’ipotesi definitivamente scongiurata, o rischia di tornare, se si rinuncerà ai previsti incrementi fiscali alternativi?

Come si vede, l’esecutivo non ha vita facile e, probabilmente, neppure lunga.

Come si usa dire, arriverà a mangiare il panettone?

Ilva: le richieste dei Mittal

Ma, come se le questioni poste dalla finanziaria non bastassero, ecco arrivare la tegola Ilva.

Ieri si è tenuta a palazzo Chigi una riunione tra esponenti dell’esecutivo ed i Mittal, padre e figlio.

Le richieste dell’affittuario, il gruppo ArcelorMittal, sono tre:

  • ripristino dello scudo fiscale
  • specifico provvedimento normativo sull’altoforno numero 2
  • 5000 esuberi.

Non si tratta, quindi, solo di problematiche legali, ma anche di problemi di gestione del piano economico, legati ad una riduzione delle prospettive dell’attuale mercato dell’acciaio, complice anche la crisi del settore automotive. La questione dell’altoforno numero 2 è invece legata alle iniziative della magistratura, che comporterebbero interventi ritenuti difficili o impossibili, nella tempistica richiesta, e che, in caso di inosservanza, determinerebbero una chiusura degli impianti.

Vediamo di affrontare separatamente i due filoni delle questioni sollevate, quella legale e quella di mercato.

Scudo legale: tesi a confronto

I rapporti con il gruppo ArcelorMittal sono regolati da un contratto, di circa una cinquantina di pagine, che teoricamente avrebbe dovuto restare riservato. Evidentemente gli estensori del medesimo, non saprei se lo stesso studio notarile che ha provveduto alla autenticazione delle firme, più probabilmente i tecnici di parte che hanno provveduto a formulare l’articolato, non avevano considerato che, in applicazione di una precisa norma del codice di procedura civile, il testo doveva poi essere depositato presso la camera di commercio, così che chiunque avrebbe potuto estrarne copia. E’ stato quindi possibile per diversi organi di stampa acquisire il testo e pubblicarlo.

Sulla base del presunto testo contrattuale, Conte si era affrettato a sostenere che la facoltà di recesso non era consentita al gruppo. Ma tale affermazione, unitamente ad errori e sviste (come quella per cui sarebbe bastato includere clausole di riservatezza nel testo per impedirne la divulgazione, peccato non aver considerato quanto stabilito dal codice di procedura civile) rischia di far fare una brutta figura non tanto a Conte in quanto presidente del consiglio, ma al legale ed al giurista.

Vediamo come stanno le cose, cercando di semplificare la questione.

Nel nostro ordinamento, esistono norme dispositive e norme invece cogenti o cosiddette anche imperative.

Le prime servono a regolare una materia, solo nel caso in cui le parti contraenti non l’abbiano già regolata diversamente.

Queste norme contengono quindi espressioni del tipo: salvo che le parti abbiano disposto diversamente, salvo diversa intesa tra le parti.

Le altre norme, dette cogenti o imperative, invece non possono essere derogate dalle parti, e disciplinano quindi una materia in modo obbligatorio.

A tale riguardo, occorre quindi notare che il recesso per giusta causa, cui si appella il gruppo, che ha già depositato la relativa domanda giudiziaria, è previsto dal nostro codice civile, e il relativo articolo, il 2119, non rientra tra le norme dispositive.

Le implicazioni

Questo implica che anche se la facoltà di recesso per giusta causa non è prevista in un contratto, come quello relativo all’affitto dell’Ilva, esso fa comunque parte delle regole che disciplinano i rapporti contrattuali, in quanto norma cogente di legge.

Ed anche se il contratto avesse previsto esplicitamente una deroga a tale principio, tale norma sarebbe affetta da nullità. Applicandosi quindi, al suo posto, la norma comunque prevista dal codice civile.

Quindi non è certo seguendo la linea difensiva della non previsione contrattuale di tale principio, che l’esecutivo, o Conte, come legale, possano pensare di far valere le proprie posizioni.

Resta da considerare, però, se nel caso di specie sussista la giusta causa.

A tale riguardo occorre considerare che, soprattutto nel caso di contratti relativi a complessi industriali di una certa consistenza come l’Ilva, prima di addivenire alla stipula di eventuali contratti solitamente si fa eseguire una due diligence.

Un’analisi di diversi aspetti, comprensivi di valutazione degli apparati sotto il profilo tecnico, della situazione finanziaria, ma anche del quadro di riferimento relativo al mercato ed al contesto normativo, in cui si andrà ad operare.

Non a caso, il contratto con il gruppo ArcelorMittal richiama espressamente la due diligence, svolta in via preliminare.

Ed è evidente che qualsiasi imprenditore, prima di avviare una determinata attività, consideri se possano sorgere eventuali profili di illegittimità nello svolgimento della medesima. Sia sotto il profilo dell’illecito amministrativo, che penale.

Difficile affermare che un cambio di normativa, che possa esporre a profili di illegittimità, non costituirebbe giusta causa. A maggior ragione se anche penalmente rilevanti .

Per la controparte sarebbe agevole dichiarare che, a fronte del rischio di commettere illeciti penali, si preferisce lasciar stare, in buona sostanza.

E neppure vale l’eventuale richiamo alla circostanza che, se si osservano le norme, alcun rischio sussiste.

Soprattutto in riferimento ad un ordinamento come il nostro nel quale, vista la sua complessità e frequente mancanza di chiarezza, per capire cosa prevedano le norme, spesso occorre far espletare consulenze costose su diversi aspetti legali ed il cui esito, comunque, troppe volte si scontra con l’opinione di magistrati che, evidentemente, non la pensano come i consulenti legali cui ci si era rivolti.

Ne è un chiaro esempio proprio la questione dell’altoforno numero 2.  Anche in presenza di uno scudo fiscale, poichè oggetto di provvedimenti giudiziari, potrebbe comunque dar luogo a problemi legali.

Come si nota, difficilmente un giudice darebbe torto all’ArcelorMittal sulla giusta causa e le dichiarazioni di Conte al riguardo, non credo possano tramutarsi in una strategia vincente a livello giudiziario.

Scenari politici ed economici: le soluzioni ed i possibili esiti

Ma la questione si pone anche sotto il profilo finanziario.

Infatti il gruppo ha richiesto un esubero di 5000 addetti, a fronte della situazione del mercato dell’acciaio.

Evidentemente, con le attuali regole di bilancio, improntate all’osservanza dei principi europei, come io amo dire, la coperta è sempre troppo corta.

E’, come dice Conte, una richiesta irricevibile, che dovrebbe infatti trasformarsi in provvedimenti come la cassa integrazione o forme di pensionamento anticipato.

Quali soluzioni, quindi, si possono prospettare?

L’aspetto strettamente economico altro non è, a mio modesto avviso, che l’ennesima dimostrazione di una sostanziale inidoneità delle attuali politiche economiche. Politiche improntate ai criteri europei, nel soddisfare le esigenze di paesi che possono incontrare crisi, come quella attuale dell’Ilva.

Il che, comunque, riguarda anche paesi come la Germania, visti i disastrosi dati che la riguardano.

Ma in realtà anche l’ennesima conferma della opportunità  di ricorrere ai principi della moderna teoria monetaria. Principi che prevedono l’emissione di moneta da parte dello stato, senza correlata emissione di titoli del debito pubblico.

L’applicazione dei principi

In applicazione di tali principi, ben potrebbe, lo stato, stampare il denaro sufficiente a misure come cassa integrazione e quant’altro si renda necessario.

Denaro che ovviamente serve alle famiglie dei dipendenti e dell’indotto Ilva per potersi mantenere e che si tradurrebbe in prodotti e servizi acquistati, che quindi farebbero parte del pil nazionale.

Il denaro che si trasforma in beni e servizi, facenti parte del Pil, non incrementa certo in misura significativa la dinamica inflattiva.

Prova in tal senso quella proveniente dagli USA.

Quanto agli aspetti legali, a me pare ovvio che qualsiasi imprenditore, prima di gestire un’attività in un settore irto di complessità ed incertezze legali, voglia assicurarsi di non andare incontro ad ipotesi di illecito.

La soluzione è quindi ovvia: reintrodurre il cosiddetto scudo legale, aggiungendo specifiche normative relative anche alla questione degli altiforni, sinora probabilmente lasciata ad una eccessiva discrezionalità interpretativa.

Ma sappiamo che l’Italia, come gli altri paesi dell’eurozona, non segue i principi della teoria monetaria moderna.

E quanto agli aspetti legali, si intrecciano con questi anche le posizioni politiche di partiti e di esponenti. La Lezzi ha affermato che su tale questione sarebbe disponibile anche a far cadere il governo, purchè non si reintroduca lo scudo.

La questione è comunque talmente grave che anche Mattarella, solitamente osservante dei principi che interpretano la funzione del presidente della repubblica in termini sostanzialmente notarili, eccezionalmente ha deciso di intervenire, non solo, come sarebbe usuale, chiedendo a Conte di essere ovviamente informato, ma dicendo che attendeva dal medesimo comunicazione circa un esito positivo dell’incontro con i Mittal e sulla questione.

A parte la natura augurale del messaggio, come se Conte quasi fosse obbligato a possedere una bacchetta magica, che tutto risolve, e ben sappiamo che non è così.

Ormai, diciamolo chiaramente, diviene sempre più probabile una crisi di governo.

Per chi abituato ad interpretare eventuali indizi, ne sono segni, abbastanza evidenti, il ritirarsi di Zingaretti dalle esternazioni pubbliche, nonché certa conflittualità serpeggiante anche tra i pentastellati.

Non va infatti dimenticato che almeno una parte dei cinque stelle preferirebbe che l’ILva tornasse completamente in mani pubbliche, e venisse financo chiusa, per essere riconvertita.

Quanto alla riconversione, erano emerse già a suo tempo le più diverse ipotesi, comprese alcune a sfondo bucolico-pastorale, ma qui lasciamo all’immaginazione dei politici dar sfogo alle più diverse ipotesi.

Realisticamente, sulla questione Ilva, forse ancor più che sulla questione dell’imposizione fiscale, l’esecutivo rischia di cadere, ma a quel punto sarebbe anche un modo per trarsi, in qualche misura, d’impaccio, lasciando che altri sbroglino la complicata matassa, che rischia di divenire più complicata, ogni giorno che passa, soprattutto quando si renda evidente che l’ipotesi originale di Conte, che bastasse qualche appiglio legale, a ben vedere, si dimostra, come si usa dire appunto in termini legali, manifestamente infondata.

A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT

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