Recessione in Italia: la Fed preoccupata

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L’Italia è in recessione tecnica. In altre parole il Pil è risultato negativo per due trimestri consecutivi. Nello specifico: il terzo e il quarto trimestre del 2018. Una recessione che, sebbene non spaventi la Bce, resta un’incognita per tutta l’economia europea. Ma a guardare all’Italia è anche la Fed.

Le paure della Fed e la recessione italiana

Secondo quanto dichiarato da Richard Clarida, vice presidente Fed, infatti, è proprio Roma che rappresenta una fonte di preoccupazione per la banca centrale statunitense. Ma non solo lei. Sul banco degli imputati anche il rallentamento della Germania. Sono infatti queste due economie a rappresentare possibili aghi della bilancia nelle prossime decisioni da parte del board presieduto dal governatore Jerome Powell.

Le incognite sull’economia Usa

In effetti, come detto in diverse occasioni, l’economia a stelle e strisce gode di ottima salute. Ma per il momento si tratta di un’isola felice che potrebbe non restare tale ancora a lungo. Innegabile che un rallentamento globale possa influire anche su Washington. Da qui la necessità di monitorare ciò che accade da altre parti. Europa in primis. Ed ecco spiegate le paure di Clarida. Un avvicinarsi degli spread tra i rendimenti dei bond di breve e lungo termine potrebbe essere il primo segnale di una possibile inversione della curva.

La curva dei rendimenti e recessione

A sua volta un campanello d’allarme per l’arrivo di una recessione. Segnale che, va sottolineato, non è una certezza. Ancora di più nella tempistica. Storicamente, infatti, le inversioni o comunque il restringimento degli spread, anticipano  le recessioni di qualche anno.

Guardando agli Usa, il T bond decennale rende il 2,65% mentre quello a 2 anni è arrivato al 2,5%. Un trend che dimostra come nel breve periodo, l’incertezza sulle sorti dell’economia statunitense sia più alta di quanto previsto su un più ampio raggio di tempo.

La politica della Fed

Alla fine dello scorso anno i mercati temevano, non poco, un approccio aggressivo da parte della banca centrale Usa. Approccio che avrebbe facilmente potuto portare a due, se non a tre rialzi dei tassi di interesse nel corso del 2019. In realtà l’ipotesi che voleva tre aumenti sul costo del dollaro è stata presto accantonata. Restava, però, quella di due aumenti. La conferma arrivava sempre da parte della Fed stessa.

Cambio di rotta per il 2019

Il suo governatore, infatti, nell’ultima riunione dello scorso anno, aveva confermato di voler incrementare la strada della normalizzazione.

La sorpresa è arrivata però con il 2019. Nell’ultima riunione della banca centrale Usa, Powell si è invece dimostrato più accomodante del previsto. Anche perché, già prima di lui, il numero uno della Bce, Mario Draghi, aveva sottolineato un generale rallentamento dello slancio per tutta l’eurozona. E anche nel suo caso l’Italia e la Germania erano osservate speciali.
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