Recessione americana: quando ci sarà la prossima?

Recessione

Quando ci sarà la prossima  recessione in America, quando la sua fine, e quali potrebbero essere gli scenari economici e politici scatenanti?

A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT

Come nostra abitudine, procederemo con una scaletta di argomenti, per dar maggior ordine ai nostri ragionamenti:

  • Curva dei rendimenti: cosa dice la Fed ed il vero modo di utilizzarla
  • Buy back e conti reali del sistema aziendale
  • Patto segreto Fed-governo e rottura degli equilibri
  • Il fattore scatenante.

Recessione e curva dei rendimenti

La Fed offre sui propri siti una serie di studi economici, basati su talune metriche, talora innovative, talora tradizionali.

Ma non sempre i metodi indicati si sono rivelati particolarmente utili, per analizzare correttamente i mercati finanziari.

Di qui l’esigenza di apportare, talora, modifiche agli strumenti utilizzati ed al loro utilizzo.

Ad esempio, tradizionalmente il metodo del p/e per la valutazione di asset azionari è stato associato allo studio delle sue medie storiche, da parte di molti analisti.

La Fed innovò l’utilizzo di questo parametro, sostituendo un metodo puramente empirico, quello della media storica, con il metodo analitico basato sul tasso dei bond decennali.

Tuttavia tale metodica non sempre si è rivelata utile, nel determinare il fair value di un mercato, ed è stato preferibile usare un metodo che comprendesse un premio per il maggior rischio azionario.

Parimenti, la stessa cosa possiamo dire degli studi statistici relativi alla curva dei rendimenti.

Possiamo notare come la Fed, al pari di altri analisti, si sia sforzata di cogliere una tempistica media relativa all’intervallo tra inversione della curva e punti di svolta dell’economia, o rispetto ai punti di svolta del mercato.

Ma si tratta pur sempre di statistiche che, al pari del p/e, non tengono conto di dinamiche diverse in contesti diversi.

Pare quindi più utile domandarsi se la curva dei rendimenti spesso esprima già delle proiezioni sui punti di svolta desumibili dalla propria configurazione.

Questa risposta è positiva, ma non si trova negli studi della Fed.

Saltando alcuni passaggi analitici, che nel tempo ho avuto modo di approfondire, e che potrebbero tediare il lettore, veniamo alla parte operativa.

Recessione  curva dei rendimenti: effetti sui mercati azionari

La curva dei rendimenti spesso esprime non tanto i punti di svolta dei mercati, ma i punti di svolta dell’economia (recessione/espansione).

Il punto di svolta della fase espansiva solitamente si trova nel punto mediano del tratto invertito.

La fase finale della nuova fase stagnante/recessiva si trova alla fine di questo tratto.

Quanto ai mercati, talora possono anticipare significativamente tali svolte, talora sono coincidenti.

Ma analizziamo le indicazioni della curva USA partendo dal relativo grafico:

Taluni ritengono che solo una inversione tra i 2 ed i 10 anni sia significativa, ma qualora si arrivasse ad un tratto ribassista oltre i 5 anni, solitamente questo significherebbe che si proietta una crisi profonda, di cui non si scorge, al momento, la fine.

Notiamo invece alcuni elementi di questa curva.

Curva e scadenze fino a 3 anni

Il tratto ribassista riguarda le scadenze sino ai 3 anni, ed il punto di probabile inversione al ribasso dovrebbe quindi collocarsi in corrispondenza del primo tratto verticale a sinistra, quindi a metà del tratto ribassista, verso la metà del prossimo anno.

Ma pur rappresentando, la scadenza a 3 anni, il punto minimo, dobbiamo anche osservare che la successiva risalita sino ai 5 anni è molto graduale, come rimarcato dal tratto orizzontale tra i due tratti verticali delle scadenze a 3 ed a 5 anni.

Il che sta a significare un periodo di lateralizzazione stagnante, più che vera e propria ripresa.

Insomma tra i 3 ed i 5 anni è previsto il culmine di una potenziale fase negativa, ed in questo intervallo, a voler essere larghi, dovrebbe collocarsi un bottom economico.

Quanto alle proiezioni sui mercati, abbiamo anche già visto che diversi metodi proiettano tra fine anno 2019 e gennaio 2020 un top, il che rappresenterebbe un’anticipazione di circa 6 mesi rispetto al top economico.

Può starci.

Quanto alla media storica, proiettando un bottom che potrebbe essere raggiunto verso fine 2022, parrebbe confermare appunto proiezioni di una ripresa coincidente con le proiezioni della curva.

Buy Back e recessione

Ma quali le possibili cause di una crisi?

In realtà, occorre notare che alcuni dati positivi, come quelli relativi alla crescita degli utili societari, sono più formali, che sostanziali.

Uno dei principali utilizzi degli incentivi fiscali concessi da Trump è stato un significativo numero di operazioni di buy back, cioè riacquisti di azioni proprie da parte delle aziende.

Fenomeno che ha ridotto non poco il numero delle azioni circolanti.

E questo comporta, a sua volta, una crescita artificiosa dell’utile.

Facciamo un esempio.

Ipotizziamo una società che abbia un milione di azioni circolanti.

L’utile è di 1 milione di dollari.

Pertanto l’utile per azione è di 1 dollaro.

Ma cosa succede se la società acquista mezzo milione di azioni?

Ovviamente le azioni circolanti si riducono a mezzo milione e, a parità di risultato rispetto al precedente esercizio, l’utile per azione raddoppia, portandosi a 2 dollari.

Ma l’utile è davvero raddoppiato?

In realtà no, anzi c’è stata crescita zero.

Infatti 1 milione/mezzo milione, fa 2, ma l’utile è sempre quello.

Considerando quindi la effettiva crescita dell’utile, al netto di operazioni di buy back, gli utili di molte società in realtà non sono risultati affatto in crescita ed, anzi, spesso si sono già verificati cali consistenti.

A sua volta, parte significativa degli utili conseguiti è stata più frutto di situazioni contingenti, come gli effetti della diminuzione della pressione fiscale, che conseguenza di sviluppo economico.

Fed, governo e rottura degli equilibri e scenario di recessione

D’altra parte, lo stesso governo ha dovuto riversare sul debito pubblico il costo delle misure fiscali varate, e non è detto che la cosa possa ripetersi.

E’ evidente lo sforzo dell’amministrazione Trump di allungare artificiosamente il ciclo economico, sia con misure fiscali, che facendo pressioni per ulteriori ribassi dei tassi.

Ma la Fed non è detto che seguirà passivamente i desiderata presidenziali.

A parte la questione tassi, è proprio la questione debito che potrà condizionare i futuri scenari.

In tal senso, dobbiamo considerare sia i meccanismi certi ed istituzionali, che la possibilità di patti occulti, che secondo taluni sussisterebbero tra Fed ed esecutivo.

La Fed, considerando i meccanismi di funzionamento ufficiali, dovrebbe continuare a finanziare la spesa governativa, che tuttavia si trova sempre più pressata dal vincolo dell’autorizzazione parlamentare a nuovi livelli di debito, il che pone diversi problemi politici.

D’altra parte, come già fatto presente in precedenti analisi, potrebbe esserci un patto segreto, nel senso di accordare sotto banco al governo denaro senza correlata emissione di titoli del debito pubblico.

Tanto, come si usa dire, chi controlla i controllori?

C’è però un ma grosso come una casa.

Anzi, di ma ve ne sarebbe più d’uno.

Fed e Trump

Trattandosi di patto segreto, Trump non avrebbe alcun potere di pressione, per spingere verso misure neppure previste dall’ordinamento ufficiale.

A sua volta, la Fed potrebbe storcere il naso, qualora si manifestassero segni di una rinata inflazione, e quindi al presidente non resterebbero che i canali ufficiali di finanziamento che però, come abbiamo visto, potrebbero a loro volta essere pesantemente condizionati politicamente.

Del resto, lo stesso Trump aveva detto che avrebbe posto mano al problema dell’entità del debito, che invece si è allargato.

Non pochi elementi fanno quindi pensare che una rinnovata politica di stimoli monetari e/o fiscali per allungare la durata della fase espansiva, sia quanto meno difficile.

Ma, oltre tutti gli elementi sopra indicati, cioè buy back, dinamiche degli utili societari e politiche pubbliche, esiste un altro importante fattore, che potrebbe incidere non poco sul futuro sviluppo economico degli USA.

E tale fattore sarebbe determinante anche nell’ostacolare possibili ribassi dei tassi.

Il Fattore P

Da qualche tempo si stanno acuendo le tensioni tra Iran ed USA.

Ed ogni volta che questo si verifica, il petrolio, il fattore P,conosce impennate rialziste.

I motivi sono evidenti.

Scontri militari che coinvolgano petroliere e paesi produttori, naturalmente agiscono come una leva catalizzatrice sui rialzi.

Diversi analisti non escludono una  duratura conflittualità, nei rapporti tra Iran ed USA.

In caso di guerra aperta, possiamo immaginare le conseguenze.

Un tale fattore,  potrebbe provocare una deflagrazione dei costi e dell’inflazione, e costituire elemento di  crisi economica e dei mercati azionari.

Riassumendo: una metrica non tradizionale di interpretazione delle dinamiche della curva dei rendimenti, ci ha restituito le possibili tempistiche di una recessione.

Fattori rilevanti potrebbero ricondurre a politiche di buy back, politiche fiscali e monetarie, unitamente al rischio di una nuova crisi energetica dovuta a motivi geopolitici.

Parte di questi fattori contribuisce a fornire dati alterati rispetto alla reale situazione aziendale, parte a premere sull’inversione del ciclo economico.

Recessione  verso la metà del prossimo anno e di successiva, graduale ripresa, non prima del 2021.

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