Questo film calcistico uscito su Sky denuncia un problema serio tra i giovani

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Il calcio è lo sport più seguito in Italia. Ed è anche quello che, più di tutti, illude i giovani sulla possibilità di diventare milionari, strappando contratti da sogno. La realtà, invece, dimostra che sono rari quelli che riescono a svoltare grazie al pallone.

La competizione è alta fin da quando si debutta nelle squadre giovanili. I ragazzi sanno che, per emergere, devono cercare di mettersi in mostra per essere adocchiati da qualche grande società. A scapito, spesso, del concetto di squadra, perché l’egoismo potrebbe premiare il singolo, ma mai il gruppo. Non è che arrivando nelle giovanili di una professionistica il discorso cambi. Anzi, essere praticamente a un passo dalla prima squadra, e quindi dal sogno, potrebbe portare a essere ancora più “egoisti”. A crescere, però, non è solo la competizione, ma anche la pressione psicologica di chi desidera trasformare illusione in sogno.

Il pericolo della depressione se non troviamo chi ci supporti

Da questo punto di vista, diventa interessante un film, Tigers, visibile, dal 26 gennaio (e ancora on demand). Questo film calcistico uscito su Sky denuncia un fatto vero capitato in Italia. Racconta la storia vera di una promessa che ha attraversato, nel bene e nel male, questa corsa a diventare un fuoriclasse, trasformandola in un incubo. Il suo nome è Martin Bengtsson e, nel 2003, questo giovane svedese, nato nel 1986, era sui taccuini di tutte le principali società europee.

Lo prese l’Inter che subito lo piazzò nella sua formazione Primavera. Per il ragazzo fu già un primo choc. Convinto di finire nella squadra titolare, si ritrovò “relegato” tra i suoi coetanei e, secondo la tesi sviluppata dalla pellicola, accolto non a braccia aperte. Vuoi anche la difficoltà di non conoscere la lingua, per Martin quei mesi diventarono, pian piano, un incubo.

Questo film calcistico uscito su Sky denuncia un problema serio tra i giovani

La partite non erano tali, ma, ogni volta, si trasformavano in “un cavolo di provino” come diceva lui. Poi ci si è messo un infortunio a mandarlo ulteriormente in crisi. Bengtsson cominciò a pensare: “La mia identità era basata sul calcio e se non giocavo, chi ero?”. La pressione, la mancanza di integrazione, l’impossibilità di poter giocare, il sentirsi “non coccolato”, lo portarono ad una decisione drastica. Tentò il suicidio.

Quando si svegliò in ospedale, la sua sensazione fu bruttissima. Tornò in Svezia, per curare questa depressione, con l’aiuto di una psicologa. Dopo poco, comunque, lasciò definitivamente il calcio giocato. Da lì, scrisse un libro, dal quale il film è tratto, che rappresentò, per Martin, una sorta di terapia. Il suo è un grido di allarme verso il mondo dorato del pallone. Va bene preoccuparsi del fisico dei giocatori, ma non trascuriamo di allenare anche l’anima e la testa. Non tutti sanno gestire la pressione e l’illusione potrebbe trasformarsi, a lungo andare, in depressione.

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