Quando WhatsApp può diventare una prova di pagamento

WhatsApp

Tutto ciò che facciamo, ormai, passa attraverso internet e WhatsApp. Le conversazioni che intratteniamo possono rivestire i contenuti più svariati, anche di carattere lavorativo o di affari. Può capitare anche di effettuare un pagamento in contanti e non farsi rilasciare la ricevuta. In questo caso, se abbiamo lasciato traccia del rapporto economico su WhatsApp, possiamo utilizzare la conversazione ivi contenuta per provare l’avvenuto pagamento. Ne deriva che se dovessero sopraggiungere contestazioni in merito allo stesso, potremmo avvalerci proprio dei messaggi ivi memorizzati. Quindi, vediamo quando WhatsApp può diventare una prova di pagamento.

Limiti al pagamento in contanti

Prima di illustrare quando WhatsApp può diventare una prova di pagamento, chiariamo preliminarmente che sussistono dei limiti ai pagamenti in contanti. In particolare, a partire dal 1° giugno 2020, la legge vieta pagamenti in contanti oltre i 2.000 euro. Pertanto, se si volesse dimostrare di averne eseguito uno di 3.000 euro, si rischierebbe di andare incontro a sanzioni, che possono arrivare fino a 50mila euro.

WhatsApp come prova di pagamento

A questo punto, possiamo approfondire la tematica relativa alla capacità di WhatsApp di fungere da prova in giudizio. La giurisprudenza, negli ultimi tempi, vincendo le ritrosie, ha approcciato ad una siffatta eventualità, con maggiore apertura. In particolare, per utilizzare come prova del pagamento la conversazione WhatsApp, occorre semplicemente stamparla oppure produrla su un supporto informatico. Se, poi, le si vuole accreditare maggiore importanza e convalidarne la corrispondenza al dato reale, è possibile recarsi da un notaio. Questi, ne potrà attestare la data e la conformità rispetto all’originale a lui prodotto. In alternativa, si potrà raggiungere il medesimo risultato chiedendo il cosiddetto interrogatorio formale alla controparte. Tuttavia, non sempre questo metodo risulta efficace, in quanto si rifà alla lealtà della controparte, che quasi certamente mentirà su un fatto per lei svantaggioso. In quest’ultimo caso, si può, tuttavia, procedere ad una querela per falsa testimonianza.

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