Quando il risparmio passa anche dall’abbigliamento, il riciclo e l’utilizzo di alcuni materiali possono favorire l’ambiente e le nostre tasche

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L’Unione Europea ha intrapreso una transizione verde con una serie di iniziative strategiche. Esse dovrebbero condurre entro il 2050 a una neutralità climatica, ossia a una economia e a una società a impatto climatico zero.

È il Green Deal europeo lo strumento atto a conseguire questo obiettivo nel rispetto degli impegni internazionali assunti con la firma e la ratifica dell’accordo di Parigi. La Commissione Europea infatti ha adottato proposte in tema di clima, energia, trasporti e fiscalità, che mirano a ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030, rispetto alle quantità prodotte nel 1990.

Quando il risparmio passa anche dall’abbigliamento, il riciclo e l’utilizzo di alcuni materiali possono favorire l’ambiente e le nostre tasche

Il Green Deal ha preso il via nel 2019 e le conclusioni del Consiglio Europeo in tal senso furono chiare. “La transizione verso la neutralità climatica offrirà opportunità significative, ad esempio un potenziale di crescita economica, di nuovi modelli di business e mercati, di nuovi posti di lavoro e sviluppo tecnologico”, dissero.

È proprio in quest’ottica che l’Europa vuol dire addio al fast fashion che ha caratterizzato gli ultimi anni del tessile. L’usa e getta va contro un’idea di riduzione degli sprechi, tranne quando il risparmio passa anche dall’abbigliamento.

È necessario avvicinarci a un nuovo modo di pensare, che poi tanto nuovo non è. Il concetto di riciclo infatti era ampiamente praticato dalle nostre nonne, probabilmente in un’ottica di risparmio più che per un’idea ecologista.

Per troppo tempo abbiamo abbracciato uno stile di vita improntato all’obsolescenza programmata e al consumo inutile. Siamo arrivati addirittura alla distruzione delle merci invendute, specialmente in ambito tessile.

La quantificazione degli sprechi lascia sbalorditi

Statistiche europee evidenziano che annualmente ogni cittadino del Vecchio Continente getta addirittura 11kg di capi di abbigliamento. A livello mondiale, invece, ogni secondo viene incenerita la quantità di indumenti pari al carico di un camion. Ciò che ha contribuito a questa accelerazione verso il fast fashion è sicuramente l’impatto della produzione asiatica, in particolare cinese.

Sembra incredibile, ma il potere inquinante dell’industria tessile è seconda solo al settore petrolifero. Ciò è determinato soprattutto dall’utilizzo del poliestere, dannoso perché impiega idrocarburi e non è biodegradabile.

L’attenzione del consumatore al momento dell’acquisto e la preferenza verso capi prodotti con fibre naturali potrebbe portare a un’inversione di tendenza nell’offerta. È sempre più importante leggere le etichette evitando di acquistare, ove possibile, indumenti che contengono alcune fibre. Poliestere, elastan, nylon (poliammide), acrilico e neoprene, ad esempio, andrebbero evitate.

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