Quali sono i costi degli investimenti in Italia: le risposte dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati

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Quali sono i costi degli investimenti in Italia? Vediamo quali sono  le risposte dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati.

Come fa ogni anno, anche stavolta l’ESMA, l’Authority europea degli strumenti finanziari e dei mercati, ha pubblicato il suo rapporto statistico sui costi e le performance degli strumenti di investimento disponibili per gli investitori retail nell’UE. Sia in Italia che in Europa i fondi restano l’opzione principale per coloro che vogliono investire, con circa 9.000 miliardi di masse totali in gestione. I costi restano una delle componenti fondamentali per il successo dell’investimento nel lungo termine. ESMA ricorda che essi tendono a essere superiori per gli investitori retail rispetto agli istituzionali (circa il doppio, e non è affatto poco). Il calo dei costi è stato marginale, negli ultimi anni.

Questo nonostante la maggiore popolarità di strumenti come gli ETF, che in media hanno offerto agli investitori un rendimento netto migliore, soprattutto in virtù di costi più bassi. Insomma, senza nascondersi dietro un filo d’erba, diciamolo chiaro e tondo: il risparmiatore/investitore è visto ancora come un pollo da spennare da parte di chi gestisce (e fornisce) i prodotti su cui investire.

Niente di nuovo sotto il sole, purtroppo.

Come è ben noto, i fondi attivi sono generalmente più cari degli ETF. Questo perché hanno strutture di costo molto più complesse (con costi di ingresso e di uscita sostanziali). Ma, in cambio, dovrebbero garantire all’investitore una migliore remunerazione del rischio, visto il loro attivismo. Ma è davvero così? Neanche a parlarne, naturalmente! La ricerca ESMA, per l’ennesima volta, va a confermare le molte evidenze che già puntavano in questa direzione. La riprova? Su 10.000 € investiti in fondi attivi per 10 anni, la media di resa è di avere un capitale, dopo tale periodo, di 18.950 €.

Da questi, però, vanno tolti 2.800 euro di costi. Rimangono 16.150 €. In termini percentuali, una performance dell’89,50% viene ridotta ad essere, dai costi, una del 61,50%. La perdita netta è del 27%. Fate voi… questi sono i costi degli investimenti.

I costi degli investimenti in Italia: le risposte dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati

Sebbene i fondi gestiti attivamente abbiano registrato una sovraperformance lorda rispetto ai fondi passivi e agli ETF, la differenza non è stata sufficientemente elevata da compensare i maggiori costi addebitati dai fondi attivi. I costi sono stati superiori all’1,5% nel caso degli azionari attivi, mentre si sono attestati intorno allo 0,6% per gli passivi e gli ETF, in media. Una bella differenza. Il fattore dei costi è determinante nel penalizzare la performance netta dei fondi attivi, ovvero quanto l’investitore si mette effettivamente in tasca (pre tasse).

E se la media non racconta sicuramente tutto, allora facciamo un altro calcolo. Andiamo a verificare il risultato del 25% dei fondi attivi con migliore performance. Et voilà. Su un orizzonte temporale sufficientemente lungo (maggiore di tre anni) i fondi attivi non riescono a battere il benchmark dei fondi passivi, al netto dei costi. Citiamo dal report ESMA: “In definitiva, quello che conta per gli investitori è l’evidenza che i fondi attivi tendono a sottoperformare i fondi passivi al netto dei costi su un orizzonte abbastanza lungo. I costi sono il fattore determinante: maggiori costi non si traducono in maggiori performance.”

Ma qual è, in definitiva, la situazione italiana? Quali sono i costi degli investimenti in Italia?

Siamo messi meglio o peggio, rispetto alla media europea? Senza alcuna sorpresa (e lo diciamo con profonda mestizia), l’investitore italiano è il pollo più ignorante d’Europa. Egli è, infatti, nella parte altissima della classifica di coloro che pagano di più su tutte le tipologie di fondi. Questo è dovuto al fatto che i costi di distribuzione sono più alti in Italia rispetto a tutti gli altri Paesi. E ciò è una conseguenza del modello prevalente dell’industria del risparmio italiano. Nel 2019 la stessa Esma specificava, infatti, che il 70% di quello che gli investitori italiani pagano per investire in fondi va remunerare la filiera distributiva.

Traduzione per chi non capisse: il 70% dei costi di uno strumento attivo, che pagate VOI, va a remunerare tutta la filiera. Dal consulente d’investimento (che pensavate fosse gratis, vero?), al collocatore, al gestore ed a chiunque altro sia coinvolto nella creazione e nel mantenimento del prodotto finanziario che avete comprato.

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