Qualcuno tra FED, BOE e BCE si sarà sbagliato e, quindi, si dovrà ricredere

FED

La settimana appena trascorsa ha rappresentato un vero e proprio punto di svolta nella conduzione delle politiche monetarie delle principali Banche centrali del mondo occidentale. Nei meeting dei board della Federal Reserve, della Banca Centrale Europea e della Banca d’Inghilterra, i banchieri centrali hanno, infatti, preso delle decisioni molto forti relativamente ai loro programmi di quantitative easing e di tassi d’interesse.

A tale riguardo, le principali macroaree valutarie-area dollaro, area euro e area sterlina – si troveranno, proprio a seguito delle decisioni prese la scorsa settimana, ad affrontare il 2022 con prospettive del tutto divergenti.

Perchè divergenti?

Mentre la FED e la Banca d’Inghilterra hanno deciso, infatti, che è arrivato finalmente il momento di affrontare seriamente la questione legata alla recrudescenza inflazionistica in corso, riconoscendo che l’aumento dei prezzi non è affatto un fenomeno temporaneo e con effetti limitati, come avevano fatto credere sin dalla scorsa primavera, la BCE ha deciso di non seguire la linea delle sue omologhe e di proseguire, invece, con la sua stance monetaria estremamente accomodante.

Se, quindi, nel 2022, la Federal Reserve è attesa da un annunciato triplice rialzo dei tassi d’interesse e da un raddoppio della velocità del tapering, ovvero del processo di riduzione degli acquisti di asset, che salirà a 30 miliardi di dollari al mese, dai 15 miliardi di novembre e dicembre e la Bank of England inizierà l’anno con alle spalle l’aumento dei tassi deciso settimana scorsa, la BCE rimarrà l’unica “colomba” che non alzerà in alcun modo il costo del denaro e proseguirà nei suoi programmi di acquisto di titoli sul mercato, seppur con uno switch poco convincente tra il programma PEPP, ormai avviato alla conclusione, e il programma “classico” che sarà rafforzato.

Qualcuno tra FED, BOE e BCE si sarà sbagliato e, quindi, si dovrà ricredere

La gestione dell’inflazione, quindi, è sempre più basata su quella che assomiglia ad una visione ideologica (e politica) del fenomeno che non sui veri e propri dati fattuali, che dovrebbero essere sempre e solo l’unico materiale da utilizzare per prendere decisioni di policy-making. Per Francoforte, l’inflazione continua ad essere un fenomeno “temporaneo” (mai aggettivo fu più abusato, e forse sbagliato, nella storia delle politiche monetarie), “transitorio”, legato soprattutto alla componente “no core”. Tutti mantra, questi, uditi tante volte sin dall’inizio della pandemia e che non sono mai cambiati. Ci si attendeva un cambio di rotta deciso da parte di Christine Lagarde; un riconoscimento da parte dei banchieri europei che la situazione è seria e che la spirale inflazionistica rischia di creare nel breve periodo effetti pesantissimi sull’economia reale, una vera e propria tassa che i cittadini dell’eurozona dovranno pagare sui loro salari e patrimoni.

Senza contare gli effetti redistributivi, non voluti, che questa spirale creerà nell’intera eurozona. Ma a tutto questo, i banchieri della Bce non sembrano credere.

Solo il tempo dirà, come al solito, chi avrà avuto ragione. Certamente, dopo le decisioni di settimana scorsa, qualcuno tra FED, BOE e BCE si sarà sbagliato e, quindi, si dovrà ricredere. Sperando che allora non sarà davvero troppo tardi.

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