Qatar e petrolio: perchè l’addio all’Opec?

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Il Qatar ha annunciato il suo addio all’Opec dal 1 gennaio del 2019. L’ultimo tassello della travagliata storia contemporanea del petrolio.

L’addio all’Opec

Sì, perchè Doha non solo uscirà dall’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio ma cambierà anche la sua strategia puntando, dal prossimo anno, sul gas. Il motivo è molto semplice: il suo apporto in termini di greggio è relativamente basso (600mila barili al giorno) soprattutto se si guarda ai record di produzione recentemente toccati dal numero uno del club, l’Arabia Saudita, e dalla sua collega “esterna”, la Russia, entrambe oltre gli 11 milioni di barili al giorno. Più importante per l’economia interna del Qatar, invece, la voce riguardante il gas naturale liquefatto, la cui estrazione e produzione sarà infatti oggetto in futuro di nuovi investimenti.

Nuovi progetti

E ancora: la piccola nazione si vuole impegnare per la costruzione del più grande impianto al mondo per la produzione di etilene, composto chimico presente in plastiche e resine sintetiche. A confermarlo è Saad Sherida al Kaabi, il ministro dell’Energia qatariota.

Ma dietro la scelta della nazione c’è di più: la politica. Non solo, però, quella che contrappone Doha a Ryad all’interno dell’Opec con la prima favorevole ad un aumento delle quote di produzione e la seconda contraria ma anche quellache vede il Qatar accusato  di essere sostenitore del terrorismo. Da qui nasce l’embargo imposto dal giugno del 2017 dall’Arabia Saudita ed appoggiato anche da Egitto, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti.

La crisi dell’Opec

Ma l’addio del Qatar rappresenta anche altro: se non avrà grandi effetti economici, ci saranno sicuramente forti conseguenze di immagine per l’Opec. Prima di tutto la conferma indiretta della perdita di prestigio. Una fragilità esterna che inevitabilmente si è proiettata anche all’interno. Le prime avvisaglie erano state intuite anche nella volontà dell’Opec (in realtà più dell’Arabia Saudita che degli altri) di arrivare a chiedere la collaborazione della Russia, volontà che non erano condivise dai membri.

Il cambio di rotta dello shale

A peggiorare la situazione anche i dissidi arrivati con “il terzo incomodo”, quello rappresentato dallo shale oil statunitense. Washington, da sempre dipendente dal petrolio per la sua crescita, qualche settimana fa ha confermato il raggiungimento dell’autonomia energetica. Un record, quello appena raggiunto, tanto inatteso quanto comodo, perchè consente agli Usa di staccarsi in maniera praticamente definitiva da una serie di alleanze imbarazzanti.

Alleanze strette in passato solo per riuscire ad avere un costante afflusso di petrolio, afflusso che ora, grazie alla rivoluzione dello scisto, può avere direttamente dai propri confini.

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