Previsioni economiche: cassa e competenza

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Il tema delle previsioni economiche è diventato sempre più d’attualità in questi ultimi tempi, anche a fronte del dibattito sulla finanziaria italiana, oggetto di confronto anche acceso tra esecutivo ed UE.

A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT

A tale riguardo, occorre in effetti considerare che, sia nel proiettare i futuri risultati di un bilancio societario (ad esempio al fine di quantificare il fair value di un titolo azionario), sia nel prospettare i futuri flussi finanziari degli enti pubblici, ad esempio per quantificare gli ormai famosi deficit/pil, debito/pil etc., le cose non sono semplici, come potrebbero sembrare di primo acchito.

Non si tratta solo di volontà politica di impostare le cose diversamente, ma anche di far fronte ad una serie di eventi futuri, per loro natura spesso imprevedibili nel loro verificarsi ed incerti nel loro ammontare.

Previsioni economiche: differenza fra cassa e competenza

Una prima problematica è legata alla differenza tra i concetti di cassa e di competenza.

Con flussi di competenza intendiamo quelle che dovrebbero rappresentare entrate ed uscite di un ente in un determinato periodo di tempo.

Ma, appunto, il condizionale è d’obbligo, perché non sempre quello che effettivamente entra o esce corrisponde ai flussi previsti.

Facciamo un esempio.

Ipotizziamo che una società debba incassare un determinato importo di crediti nel prossimo anno.

Quanti di questi crediti effettivamente incasserà?

Probabilmente una parte, ma un’altra parte sarà forse soggetta a contestazioni legali, e quindi solo una parte verrà effettivamente incassata.

Questa componente rappresenta il criterio di cassa, cioè quanto effettivamente la società incassa, rispetto al credito teoricamente incassabile.

Il totale dei crediti rappresenta invece la componente di competenza.

Non a caso gli analisti usano tagliare le stime di certe entrate, considerando le diverse percentuali statistiche della cassa e della competenza, riferite a determinate voci di bilancio.

La stessa cosa avviene per le uscite, tipicamente per i cosiddetti costi non monetari, come gli ammortamenti.

Infatti esistono anche uscite che sono solo teoriche.

Nel bilancio aziendale vengono infatti iscritte talune voci di costo, come accantonamento di fondi per la sostituzione di un asset aziendale, come un macchinario, che nel tempo dovrà essere dismesso per obsolescenza.

Ma effettivamente l’uscita ci sarà solo nel momento dell’acquisto del macchinario sostitutivo, il che implica che negli anni precedenti questa uscita non ci sarà, e quindi tale voce di costo va, invece, aggiunta agli utili, perché resta in azienda.

Previsioni economiche: differenza fra cassa e competenza per gli enti pubblici

Tale problematica di distinguere tra cassa e competenza riguarda però anche gli enti pubblici.

Ad esempio il deficit, come noto, riguarda l’importo delle spese, eccedenti le entrate, ma qual ‘è l’effettivo importo delle imposte che saranno riscosse entro un determinato periodo di tempo?

Consideriamo, ad esempio, che il contribuente potrebbe anche opporsi giuridicamente con una serie di strumenti, che vanno dall’esercizio di istanze cosiddette in via di autotutela, per consentire allo stesso ente di correggere propri errori legali nella riscossione, a ricorsi in sede giurisdizionale.

Questi ultimi, poi, possono dipanarsi in diversi gradi di giudizio, dalle commissioni provinciali e regionali tributarie, sino alla cassazione.

Talora, poi, gli stessi enti agiscono con inefficacia ed inefficienza, e da presunti crediti esigibili, la mala gestio di questi ultimi li trasforma, anzi, in danno erariale.

Vediamo perché.

Previsioni economiche: esempio di una procedura di contestazione

A tale riguardo, faccio un esempio, tratto da una procedura di contestazione introdotta dalla legge 228/2012.

Tale legge (finanziaria 2013) ha introdotto una forma di silenzio assenso a favore del contribuente.

Quest’ultimo, se ritiene venuta meno per una serie di motivi (ad esempio prescrizione del tributo) la pretesa dell’ente che gli richiede il relativo importo, può comunicare la relativa contestazione anche solo con una comunicazione cartacea o telematica all’ente presunto creditore, ad esempio ente locale in materia di tributi locali, o alla società concessionaria della riscossione.

In tale ipotesi l’azione di recupero, in via sia cautelare(ad esempio fermo di veicolo) che esecutiva, se già intrapresa, resta sospesa fin tanto che non giunga la risposta, nel merito, dell’ente presunto creditore.

Ma se la risposta, nel merito, dell’ente presunto creditore non giunge in tempo, entro 220 giorni dalla presentazione della contestazione, il credito si estingue automaticamente.

Nella pratica, cosa succede?

Intanto che spesso l’inerzia degli enti pubblici nel riscuotere quanto ad essi sarebbe dovuto comporta effettivamente la prescrizione di tali importi, che quindi non saranno più dovuti.

Ma a prescindere da tale inerzia, spesso gli enti non rispondono, o rispondono in ritardo, da cui consegue comunque il silenzio assenso a favore del contribuente, anche se il debito non è prescritto.

Pertanto il contribuente, peraltro giustamente, in quanto previsto dalla legge, richiede, decorso il termine dei 220 giorni, il discarico del presunto debito, ma l’ente, come spesso succede, arroccandosi sulle proprie posizioni, seguendo una logica più da ente privato, che da ente pubblico, preferisce evitare di dar ragione al contribuente e va dritto per la sua strada, come se quel silenzio assenso non fosse intervenuto, o come se la legge non lo prevedesse.

A questo punto, molti contribuenti cosa fanno?

Un discreto numero fa ricorso alla commissione tributaria provinciale, spesso senza neppure bisogno di essere assistiti da un professionista, poiché sotto una certa soglia la legge lo consente.

Del resto predisporre un ricorso giurisdizionale tributario non è certo materia da Einstein e conoscendo un po’ di normativa e di giurisprudenza, chiunque potrebbe farlo.

Ed anche la compilazione della nota di iscrizione a ruolo è tutt’altro che complicata.

Se poi l’importo supera tale soglia, allora anche solo la circostanza della formazione del silenzio assenso, visto che è oggettiva, essendo legata al decorso del termine, in ogni caso spesso non fa desistere il contribuente che, su somme di importo rilevante, può ritenere che il gioco valga la pensa di farsi assistere da un legale, dal momento che l’esito pare scontato a suo favore.

Insomma, l’ente, a questo punto, farebbe meglio a desistere.

Non a caso, per deflazionare tutta questa mole di ricorsi, l’art. 17 bis del cosiddetto codice del processo tributario, un rito sostanzialmente riconducibile alla tipologia del processo di cognizione ordinario, prevede comunque che, una volta notificato il ricorso alle controparti, concessionaria della riscossione ed ente presunto creditore, vi sia un periodo di sospensione di 90 giorni, in cui il ricorso vale come tentativo di reclamo mediazione.

Questo implica che il ricorrente possa fare una proposta di mediazione alla controparte, contenuta nel ricorso stesso, o che l’ente possa farla al contribuente.

L’ente potrebbe anche accogliere in toto le istanze del ricorrente, evitando appunto un processo.

Ma anche arrivati a questo punto, l’ente di solito preferisce non far nulla e lascia quindi che il ricorrente depositi il proprio ricorso.

Previsioni economiche: procedura e silenzio assenso

Come va a finire?

Ce lo dicono diverse sentenza in materia che, ovviamente, altro non hanno potuto fare che riconoscere il silenzio assenso e dar ragione al ricorrente.

Peccato, però, che le norme in materia di processo tributario prevedano anche la possibilità di risarcimento danni, quando una delle parti faccia ricorso o resista in modo infondato.

E’ appunto il comportamento dell’ente, che obbliga il privato a far ricorso, mentre un semplice provvedimento autonomo, in via amministrativa, consentirebbe al ricorrente di evitare di dover adire le vie legali.

Pertanto si rischia, in tal modo, di provocare un danno all’erario.

Morale della favola: l’ente all’inizio è inefficiente ed inerte, tanto da non riscuotere per tempo quanto gli è dovuto.

Poi per non voler riconoscere tale inefficienza, non ammette neppure la formazione di una situazione di inesigibilità del suo credito e lascia che la cosa si trascini nelle aule di giustizia, e quindi non solo non recupera il proprio credito, ma anzi si espone al rischio di dover rifondere alla controparte danni e spese sostenute.

Come vediamo, un classico esempio di situazione nella quale in base al criterio per competenza, si sarebbe dovuta incassare una somma, ed invece si rischia di sborsarne una ancora maggiore (criterio di cassa).

Approfondimento

Cash Flow e gestione finanziaria

 

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