Presunzioni tributarie: cosa sono e come difendersi?

Agenzia delle entrate

Altre volte mi sono occupato di temi legali, nell’ambito di diversi miei articoli.

Oggi affrontiamo il tema delle presunzioni tributarie: cosa sono e come difendersi?

Il nostro ordinamento tributario, al fine di combattere i tentativi di evasione fiscale, consente al fisco di avvalersi di alcune presunzioni.

La presunzione è un mezzo di prova, in base al quale, data la dimostrazione di un fatto noto, si ritiene provata anche la sussistenza di altre circostanze.

Ad esempio: spese eccessive, rispetto al reddito dichiarato, fanno presumere redditi non dichiarati.

Presunzioni tributarie: cosa sono e come difendersi?

Volendo semplificare la trattazione di questo tema, possiamo distinguere due categorie di presunzioni, quelle generiche e quelle specifiche.

Presunzioni generiche

Le prime consistono in indizi. L’amministrazione fiscale può porre a base di una asserita esistenza di base imponibile non dichiarata, quale presupposto di una maggior pretesa impositiva.

Questi indizi devono essere molteplici, cioè solo uno non basta, e, analogamente a quanto previsto in materia di procedura penale, devono essere gravi e concordanti tra loro.

Concordanti significa che devono andare nella stessa direzione.

Non sono tali, ad esempio, degli indizi, di cui alcuni vadano nel senso di far ritenere probabili determinate circostanze, ed altri nel senso di negare le medesime, e quindi, semmai, da considerare contraddittori.

Gravi significa, invece, che a fronte della loro esistenza, questa deve determinare una rilevante probabilità che sussistano i fatti che i medesimi hanno lo scopo di provare, non solo una possibilità in percentuali modeste.

Ovviamente a tali indizi potrà replicare la difesa del contribuente con elementi ex adverso, cioè tali da determinare una prova o una serie di prove in senso contrario.

Presunzioni specifiche

Nel caso, invece, di presunzioni specifiche, queste possono essere considerate quale fonte di prova, anche se non unite ad altri elementi probatori.

Si tratta di specifici elementi, cui la legge attribuisce valenza di presunzione semplice di determinati fatti, cioè la loro presenza fa presumere, per legge, determinate circostanze, anche se non accompagnate da altri elementi d prova, sempre restando al contribuente la facoltà di provare il contrario.

In tal senso, ad esempio, i trasferimenti di denaro su conti correnti che, se il contribuente non riesce a dimostrare una motivazione diversa, vengono considerati dimostrazione di redditi percepiti. E, quindi, danno luogo a prova di reddito non dichiarato a favore del fisco, qualora non ricompresi nella dichiarazione dei redditi.

Come procede l’agenzia delle entrate

L’agenzia delle entrate procede a controlli, anche in base ad elementi presuntivi e procede a successivo accertamento, qualora tra il reddito dichiarato e quello ricavabile dai suoi accertamenti, rilevi uno scostamento di una certa entità, solitamente a partire dalla soglia del 20 per cento in più rispetto al reddito dichiarato come imponibile.

A quel punto, si avvia una procedura di accertamento. Gli uffici tributari potevano, per tutti gli avvisi emanati prima del primo luglio 2020, a loro discrezionalità, far precedere l’accertamento vero e proprio da un invito al contribuente a fornire spiegazioni, su quanto “non quadra” al fisco.

In particolare potevano (per gli avvisi successivi al primo luglio 2020 vedi oltre) rivolgere invito a fornire informazioni e rispondere a questionari, nonché a comparire dinanzi ai medesimi.

A tale riguardo, va precisato che il non rispondere all’invito a fornire spiegazioni o a comparire, costituiscono, a loro volta, illeciti sanzionati pecuniariamente.

Diverso il caso, in cui sia stato il contribuente a richiedere un procedimento di cosiddetto accertamento con adesione, in quanto, in questo caso, l’obbligo di presentarsi non sussiste, e la non presentazione equivale solo a rinuncia ad un suo diritto.

L’invito a fornire chiarimenti

Per rispondere all’invito a fornire chiarimenti o a presentarsi (la legge utilizza ancora questo termine eufemistico, personalmente lo definirei obbligo, fuori dei casi di accertamento con adesione), bisogna preparare una vera e propria difesa, volta a dimostrare il contrario di quanto contestato dal fisco.

Il contribuente può presentarsi personalmente, eventualmente in compagnia di un difensore (i soggetti abilitati a svolgere attività difensiva di fronte agli organi fiscali sono avvocati, nonché alcune altre categorie professionali, individuate dalla normativa in materia, come i commercialisti).

Potrebbe anche essere delegato un soggetto diverso dal contribuente, purchè a conoscenza dei fatti, ed a sua volta questo potrà farsi accompagnare, o meno, da un difensore.

L’invito a comparire deve contenere determinati elementi, ad esempio l’indicazione del soggetto responsabile del procedimento.

Volendo, si potrebbe anche contattare via mail o telefonicamente quest’ultimo, al fine anche solo di concordare altro appuntamento, rispetto a quello già indicato nell’invito, o per vedere se accetti, almeno in prima battuta, una risposta anche solo via mail a quanto richiesto tramite mero invio di documenti allegati via mail.

Come difendersi

Un primo tipo di difesa è quello formale. Ad esempio basata su un vizio dell’atto, riconducibile all’assenza di elementi richiesti dalla normativa

Ovviamente la risposta a questa domanda, cioè come difendersi in concreto, dipende dal singolo caso, cioè dall’oggetto di contestazione del fisco.

Se si tratta di presunzioni generiche, nel merito bisognerà provare il contrario di quello che tali elementi fanno presumere.

Come noto e come abbiamo detto sopra, ad esempio il fisco può avvalersi anche di indizi vari. Come il fatto di essere stato visto alla guida di autovetture costose, piuttosto che foto pubblicate sul proprio social che evidenziano l’uso di oggetti costosi come, ad esempio, appunto una vettura di grossa cilindrata.

In questo caso, bisognerà ad esempio evidenziare che si tratta di oggetti imprestati, esibendo copia dei certificati di proprietà dei medesimi, ed evidenziando che sono stati imprestati.

Del resto, la legge non vieta l’uso di oggetti di proprietà di altri, come nel comodato d’uso.

Si potrà quindi, sempre a titolo esemplificativo, affermare che si è voluto esibire l’utilizzo di determinati oggetti non di proprietà del contribuente. Meglio, quindi, non solo se si potranno esibire certificati di proprietà di altri, ma se si potranno esibire contratti in merito. Contratti che regolino anche solo il comodato d’uso.

Sarà quindi opportuno già predisporre, prima di un incontro con il fisco, delle memorie esplicative scritte, allegando la documentazione che comprovi le nostre dichiarazioni.

E meglio ancora inviare tale documentazione, intanto, via mail. Così che l’organo accertatore già si faccia un’idea di elementi che provano l’opposto di quanto presunto.

Anche nel caso in cui non vi sia invito a comparire, ma solo a dare risposta a dei questionari.

Poi il colloquio altro non sarà che una conferma di quanto già esposto.

Le presunzioni specifiche

Soprattutto nel caso di presunzioni specifiche, come il trasferimento di denaro su conto corrente, sarà opportuno dotarsi di preventiva documentazione. Una documentazione che ne dimostri la legittimità e come non si tratti di redditi in nero.

Una utile prassi è quella di predisporre un contratto di finanziamento senza interessi. Le due parti, chi trasferisce il denaro e chi lo riceve, si scambiano.

Questo perché, soprattutto nel caso di trasferimenti a titolo di finanziamento, ovviamente il denaro ricevuto come finanziamento non può considerarsi reddito.

Il finanziamento deve risultare senza interessi, altrimenti questi interessi costituirebbero reddito, a sua volta tassato dal fisco ed a carico del trasferente.

È anche importante precisare nel testo contrattuale che chi presta denaro lo fa in modo occasionale. Non come attività continuativa, dal momento che in questo caso si incorrerebbe in un reato, essendo l’attività di prestito di denaro, se svolta in modo non occasionale, consentita solo a soggetti abilitati.

Altra avvertenza importante: sarebbe opportuno non usare la forma del testo contrattuale sottoscritto da entrambi i contraenti.

Meglio usare un primo scritto, con cui chi trasferisce denaro formula una proposta, tramite posta raccomandata, di finanziare l’altra parte.

Quindi chi ha ricevuto la raccomandata, risponderà, sempre tramite raccomandata, comunicando la propria accettazione.

In tal modo questi scritti saranno dotati di data certa, indicata all’ufficio postale.

Primo importante vantaggio, perché consente di dimostrare l’esistenza del contratto in data certa (fa fede il timbro postale) precedente rispetto all’accertamento fiscale.

Inoltre, trattandosi di proposta contrattuale conclusa per corrispondenza, non si dovrà necessariamente corrispondere l’imposta di bollo.

In questo caso, infatti, l’imposta è dovuta solo in cosiddetto caso d’uso, cioè solo se il contratto si usa nell’ambito di una controversia giudiziaria.

Conclusione del procedimento

Alla fine della procedura il fisco emette l’atto finale, definito appunto avviso di accertamento, con cui comunica la sua pretesa impositiva e le sue motivazioni.

Anche in base a quanto eccepito dal contribuente in sede di contraddittorio.

Anzi, questo costituisce un preciso requisito, a fronte di una riforma in materia. Riforma che prevede espressamente che la motivazione, contenuta nell’avviso di accertamento, debba espressamente spiegare perché eventualmente il fisco non abbia tenuto conto degli elementi indicati a propria difesa dal contribuente.

A quel punto, dopo un avviso di accertamento che respinga le proprie difese, il contribuente potrà eventualmente ricorrere innanzi agli organi di giustizia tributaria, a partire dalla commissione tributaria provinciale, che giudica in primo grado.

E, nell’ambito delle proprie difese, la difesa del contribuente potrà ovviamente riprendere anche gli elementi fatti valere in contraddittorio. Già nelle precedenti fasi, nonché far valere anche vizi di forma, come l’assenza di determinati elementi, nell’invito a comparire o nell’avviso di accertamento.

Ad esempio l’assenza di motivazione, o una motivazione contraddittoria o infondata. O tale, appunto, da non indicare perché non siano stati presi in considerazione gli elementi indicati dalla difesa.

Va infatti precisato che determinati vizi possono inficiare la legittimità già dell’invito a comparire o a fornire dati.

Ad esempio, un elemento essenziale già anche solo dell’invito è la motivazione.

Proprio perchè deve indicare le ragioni di richiesta del confronto; senza di queste, infatti, il contribuente non sarebbe messo nella condizione di preparare la difesa e produrre i documenti necessari a dimostrare la propria regolarità.

Anche di tale eventuale mancanza potrà avvalersi la difesa del contribuente, a sostegno, ad esempio, della tesi della nullità dell’invito.

Infine, va chiarito che, a seguito di una riforma normativa della materia, per tutti gli avvisi di accertamento emessi a partire dal primo luglio 2020, tranne alcuni casi, come in materia di accertamenti parziali (che sono poi la maggior parte) o come i procedimenti conclusisi con processo verbale di constatazione, l’invito al contribuente a comparire diviene obbligatorio.

Proprio al fine di garantire un contraddittorio. Diversamente mancherebbe in una prima fase e, qualora integrato, costituirebbe anche un mezzo di riduzione dei possibili contenziosi in sede giudiziaria. Nell’ambito di una generale politica di deflazione processuale.

A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT

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