Preferire azionario oppure investimenti alternativi? Asset allocation alla luce delle curve dei rendimenti e dinamiche cicliche

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CON L’ATTUALE CURVA DEI RENDIMENTI E LE ATTUALI DINAMICHE DEI TASSI, IL COMPARTO AZIONARIO VA COMUNQUE PREFERITO?

OPPURE MEGLIO SCEGLIERE INVESTIMENTI ALTERNATIVI?

ASSET ALLOCATION ALLA LUCE DI CURVE DEI RENDIMENTI E DINAMICHE CICLICHE.

Tra gli asset maggiormente influenzati dalla dinamica dei tassi, ci sono il comparto azionario e quello obbligazionario.

Altri asset, come vedremo,  ad esempio  l’oro, invece non sempre esprimono una chiara correlazione con i tassi d’interesse.

Ma azionario ed obbligazionario non riflettono solo una situazione di tassi crescenti o decrescenti, ma anche il rapporto tra le diverse scadenze di questi ultimi, come espressa dalla curva dei rendimenti.

Questo indicatore, riferito ai titoli di stato di un determinato paese, collega le diverse scadenze, evidenziando normalmente un’inclinazione crescente.

Se la curva diviene piatta o, peggio, negativamente inclinata, esprime una proiezione di tensione finanziaria ed una probabile fase recessiva dell’economia, che giustifica tassi a breve più elevati di quelli a medio/lungo.

Dobbiamo quindi considerare almeno due aspetti, riferiti ai tassi: la curva dei rendimenti, ed il rapporto esistente tra rendimenti del comparto azionario ed obbligazionario di un medesimo paese, dove per rendimento del comparto azionario intendiamo l’inverso del p/e.

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Sotto questo secondo profilo, possiamo dire che i due comparti sono in equilibrio, quando il rendimento del comparto azionario equivale a quello dei titoli di stato decennali, incrementato di un premio del 5 per cento.

Facciamo un esempio.

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Se il p/e di un indice è 10, l’inverso del p/e sarà 1/10, che significa rendimento del 10 per cento.

Se il titolo di stato decennale di quel paese rende il 10 per cento, significa che il comparto azionario deve quindi rendere 15 per cento.

Di qui la possibilità di risalire al fair value di equilibrio di un indice azionario, considerando il rendimento di un titolo di stato decennale.

Basterà incrementare tale rendimento del 5 per cento, quindi dividere il numero uno per tale rendimento, espresso in forma decimale.

Facciamo un esempio:

se il titolo di stato decennale rende il 7 per cento, incrementato di 5 punti percentuali, conduce al 12 per cento.

Quindi: 1/0,12 porta a 8,33, ed è questo il p/e di equilibrio del relativo indice azionario.

Considerata la situazione sotto questo profilo, notiamo che, a parte l’indice Dax, che esprime un rendimento quasi pari a quello del bund decennale, gli altri principali indici azionari, a partire da quelli USA, nonostante i recenti e repentini ribassi, esprimono ancora una situazione di palese quotazione a premio rispetto al proprio fair value, calcolato come sopra indicato.

E, si sa, quando gli indici USA vanno al ribasso, è ben difficile una risalita degli altri, ma non impossibile.

Si pensi, come ho evidenziato nell’articolo di ieri, che ad esempio lo S &P 500, per tornare sul proprio fair value di equilibrio, dovrebbe scendere di circa il 50 per cento dai valori attuali.

Ma non è solo il rapporto tra rendimenti azionari ed obbligazionari, che si deve prendere in considerazione, per una disamina della situazione di questi asset sotto il profilo dell’analisi fondamentale.

E’ molto importante anche l’inclinazione della curva dei rendimenti, con particolare riferimento a quella statunitense, visto che comunque i principali mercati dimostrano una correlazione storica attorno al 75 per cento con quelli USA.

Sotto questo profilo, come anticipato diverse volte su queste pagine, la curva dei rendimenti si è statisticamente dimostrata un indicatore anticipato di fasi di ripresa e di crisi economica ben più attendibile di molti altri.

E, sotto questo profilo, l’appiattimento della curva aveva da tempo anticipato sia una fase di rialzo dei rendimenti, che esprime l’attuale orientamento della Fed, sia una fase di stagnazione/recessione.

Non a caso il pil statunitense, pur ancora in crescita, ha dimostrato una decelerazione, tipica delle fasi di transizione da un’economia in crescita ad altra fase, di economia quanto meno stagnante.

Riassumendo, possiamo quindi dire che il comparto obbligazionario è meno caro di quello azionario, ma l’attuale congiuntura, ben rappresentata dalla dinamica della curva dei rendimenti, non depone a favore di nessuno dei due, nell’ottica del tradizionale investitore in posizioni long.

Tuttavia, soprattutto in caso di conferme di inversione al ribasso, è possibile assumere non necessariamente una posizione short, sempre particolarmente rischiosa, ma l’acquisto di opzioni put, in particolare sul comparto azionario, a partire dagli indici USA.

E’ una possibile forma di investimento alternativo, che sfrutta le dinamiche ribassiste dei comparti, utile soprattutto in alcune fasi del ciclo economico.

Peraltro la tipica dinamica di transizione da una fase espansiva ad una stagnante/recessiva, è proprio caratterizzata dai seguenti elementi: appiattimento, poi probabile inversione della curva dei rendimenti, comparto obbligazionario che inizia a lateralizzare o a cedere, quando il comparto azionario è ancora in crescita particolarmente spinta al rialzo, tipica di una fase speculativa, fair value del mercato azionario con quotazione abbondantemente a premio, rispetto ai rendimenti del comparto obbligazionario, improvviso cedimento (per i più inaspettato, non per chi se lo aspettava, ovviamente) del comparto azionario.

Elementi tutti presenti nella situazione attuale.

A questi elementi, tipici della situazione analizzata in termini di analisi fondamentale e macroeconomica, possiamo aggiungere alcune considerazioni nell’ottica dell’analisi ciclica e tecnica.

In genere, le quotazioni attuali dei principali indici azionari si trovano nel terzo/quarto sottociclo rialzista di un ciclo pluriennale impostato al rialzo, situazione che pure avevo sottolineato in diversi articoli, e da cui dovrebbe svilupparsi la fase più ribassista.

Le quotazioni possono talora trovarsi in particolari situazioni grafiche, a contatto con resistenze dinamiche di ampio respiro, prima di consistenti ribassi, proprio come l’attuale impostazione delgi indici USA (ulteriore situazione evidenziata alcuni articoli fa).

L’innesco del ribasso spesso coincide poi con primari setup di inversione, come sottolineato dal metodo magic box, che prima di arrivare al top esprime comunque setup di continuazione, con la chiusura del setup sopra il massimo del precedente time frame, indicando il successivo target.

Anche questi sono elementi che abbiamo riscontrato.

Tutta questa concatenazione di elementi sia fondamentali, che tecnici, al momento si è perfettamente allineata.

Dobbiamo solo attendere, per chi preferisce ulteriori elementi in ottica trend following, alcune conferme (che ancora non ci sono).

Ma su questo rinvio per maggiori dettagli agli articoli dedicati ai singoli indici.

Ma possiamo anche domandarci se in base ad alcune variabili di analisi fondamentale, ed in particolare la dinamica dei rendimenti, utilizzata sotto altro profilo, siano consentite valutazioni su altri asset.

In tal senso è interessante osservare gli spread della curva dei rendimenti sulle scadenze 2/10 anni e 5/30 anni.

Osservando le curve dei rendimenti di paesi diversi, possiamo così comprendere dove siano previsti i maggiori tassi di crescita o di decrescita.

E tale elemento risulta abbastanza rilevante nel rapporti valutari, dove la moneta più forte, e quindi long, rispetto ad una moneta debole, è ovviamente quella del paese di cui sono previsti i maggiori tassi di crescita economica, come espressi dagli spread sopra indicati.

In tal senso, la situazione europea, rispetto a quella statunitense, può ben essere indicata dal rapporto tra gli spred tedeschi e quelli degli USA.

L’attuale configurazione delle relative curve dei rendimenti depone, come noto, per tassi maggiori di crescita in Europa, rispetto agli USA, e tale elemento conferma il trend rialzista di lungo dell’euro sul dollaro, trend peraltro anticipato in diversi articoli, anche grazie all’analisi ciclica di lungo termine.

Per quanto riguarda, invece, i metalli preziosi ed in particolare l’oro, non sempre si è manifestata una correlazione chiara tra rendimenti e trend di mercato di tali asset.

Considerato per antonomasia antidoto soprattutto alle situazioni di incertezza, in particolare il metallo giallo è stato diversamente interpretato nelle diverse situazioni e fasi storiche, tanto da poter sia salire, che scendere, pur nello stesso tipo di fase economica.

Secondo alcuni, in particolare l’oro sarebbe influenzato, essendo espresso soprattutto in dollari statunitensi, dalla base monetaria di circolante di questa moneta.

Il ragionamento è che ai tempi del gold standard, ovviamente a parità di riserve auree, un maggior quantitativo di massa monetaria comportava un deprezzamento del dollaro ed un correlato incremento di prezzo dell’oro.

Ma, stando ad alcune rilevazioni, e fatti i dovuti calcoli, allora l’oro sarebbe dovuto esplodere da tempo, esprimendo, in base a tale teoria, un valore prossimo ai 10000 dollari l’oncia.

Come notiamo il mercato fa fatica a seguire tale orientamento, e quindi pesano, evidentemente, alcuni altri fattori.

Secondo taluni il posto dell’oro sarebbe stato occupato dalle criptovalute, ma è tutto da dimostrare.

Quanto alle materie prime, si potrebbe pensare che soprattutto quelle legate alle dinamiche industriali seguano il ciclo economico, salendo quindi in fasi di surriscaldamento dei tassi, e viceversa.

Le dinamiche effettive di questi asset sono però più complesse, molto dipendendo anche dall’andamento di singoli settori e prospettive di utilizzo di alternative, vedasi il petrolio.

Riassumendo: l’attuale fase, analizzata con particolare attenzione alle dinamiche dei tassi, non depone a favore di azionario ed obbligazionario.

Come al solito si procederà per step e l’attenzione andrà riposta sul trend e sulle sue inversioni.

Prevedibile comunque una maggior debolezza del primo comparto, e i possibili sviluppi, in caso di alcune conferme, potrebbero favorire gli acquisti di put sui due comparti, in particolare sull’azionario.

Tra i trend più agevolmente prevedibili, in relazione agli andamenti dei tassi, anche quello favorevole all’euro sul dollaro.

Più sfumata, e dipendente anche da altre variabili, la situazione di altri asset, come le commodities ed i metalli preziosi.

 

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