Powell versus Trump e i rapporti istituzionali

fed

A questo punto l’inconciliabilità delle posizioni e delle vedute tra Jerome Powell e Donald Trump è diventata ufficiale.

Nell’audizione al Senato è stata posta a Powell una precisa ripetuta domanda.

Ovvero se egli fosse pronto a dimettersi su eventuale richiesta del Presidente degli Stati Uniti d’America.

Il CEO della FED ha ribadito con ferma determinazione l’intenzione di completare il suo mandato quadriennale.

Alcuni osservatori hanno calcato la mano sulla scabrosità della domanda posta al buon Jerome come se fosse a suo danno.

In realtà, visto che dubitiamo Trump voglia passare per un dittatore di stampo sudamericano, dopo questo duetto giornalistico la posizione di Powell ne esce più salda che mai.

Infatti come potrà ora eventualmente la Casa Bianca invocare le dimissioni del vertice della FED sapendo che si aprirebbe un complicatissimo conflitto istituzionale?
Richiesta che se forzata oltretutto finirebbe appunto per fare catalogare “The Donald” come un dittatore…

Anche i dati macroeconomici contro Trump

E’ vero che nell’audizione Powell ha confermato l’intenzione di tagliare i tassi di interesse ma è anche vero che si parla di gradualità e attenzione alle dinamiche globali.

Tra l’altro sul fronte dei dati macroeconomici americani nulla si posiziona a favore di quella sventagliata al ribasso sui tassi che lo studio ovale anela.

Vediamo.

Tabella principali dati macroeconomici USA di giornata

    Richieste di disoccupazione continua 1.723K 1.685K 1.696K
    Indice principali prezzi al consumo (Mensile) (Giu) 0,3% 0,2% 0,1%
    Indice principali prezzi al consumo (Annuale) (Giu) 2,1% 2,0% 2,0%
    IPC (Mensile) (Giu) 0,1% 0,0% 0,1%
    IPC (Annuale) (Giu) 1,6% 1,6% 1,8%
    Richieste iniziali di sussidi di disoccupazione 209K 220K 222K

 Fermo che i dati sulla disoccupazione hanno ripreso il minuetto di bilanciarsi (uno positivo e uno negativo), restano comunque su valori vicini ai record storici!

Inflazione in movimento: pericoloso abbassare i tassi

Come già in Europa anche negli USA l’inflazione si è rimessa in movimento.

Il +2.1% annuale versus +2% non è gran cosa ma è comunque sopra il target FED.

E sappiamo bene come con l’inflazione che si muove al rialzo la manovra corretta sia alzare i tassi e non certo tagliarli.

Se le percentuali  di inflazione si alzassero si potrebbe creare il cosiddetto “cul de sac” ovvero, per la dirla in italiano, un vicolo cieco che rischia di mettere in grande difficoltà la FED.

Forse proprio anche per questo motivo le Borse non hanno ancora festeggiato a dovere la definitiva apertura di Powell a prossimi tagli dei tassi di interesse.

Ciò non toglie che crederli ( i tagli…) già prezzati dai mercati potrebbe rivelarsi un grave errore di superficialità.

Anche perché poi concretamente la disponibilità dei liquidi in questi casi non arriva prima che effettivamente il taglio dei tassi consenta di approvvigionarsi alle nuove condizioni.

Occhio che se l’inflazione riprende a vivacchiare le Borse sono pronte a scattare e forse sono pronte a prescindere visto che stiamo comunque parlando di inflazione accennata e non certo galoppante…

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