Pinuccio Sciola e le sue Pietre Sonore, il rispetto per la natura e le persone e l’idea di arte pubblica, con e per la gente

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È una giornata piovosa quella che ci accoglie a San Sperate, ad una manciata di chilometri da Cagliari. Destinazione: Giardino Sonoro, un angolo incantato di verde, terra e pietra. Un museo a cielo aperto, spazio espositivo di una parte delle opere dell’artista sardo Pinuccio Sciola, famoso in tutto il Mondo. Ma è anche molto di più. Capiamo subito che rappresenta un modo di essere, di vivere, di intendere e percepire l’arte, ma anche la natura, la vita, l’universo stesso. La pioggia, il grigiore pallido e brillante di questo inconsueto cielo sardo ed il vento avvolgente rendono questo luogo ancora più onirico, sospeso, misterioso e, al contempo, rasserenante, calmante. Un’immersione nella terra, nella pietra e nell’arte e, attraverso esse, necessariamente un viaggio dentro sé stessi.

Ed è tra le pietre del Giardino che incontriamo Maria, la figlia di Pinuccio Sciola, che ci racconta dell’artista e dell’uomo passeggiando tra le sculture di calcare e basalto.

Pinuccio Sciola e le sue Pietre Sonore, il rispetto per la natura e le persone e l’idea di arte pubblica, con e per la gente. Come descriveresti Pinuccio Sciola e la sua Arte a chi sa poco di lui?

“Pinuccio era un artista visionario. Nasce in una famiglia di contadini, a casa mai entrato un libro. E lui racconta che lavorava in campagna e quando aveva tempo “picchiava”, come diceva lui, la pietra. Diviene scultore in un paese nell’entroterra sardo dove non ci sono le pietre, nonostante la Sardegna sia totalmente un’isola di pietra. Noi avevamo quelle del fiume, veramente dure e difficili da lavorare. Tra le prime sue opere, che gli danno la possibilità di essere conosciuto al Mondo, c’è Pietrino, un bambino scolpito in arenaria, che esce alla ribalta quando Pinuccio aveva semplicemente 15 anni. È stata propriamente questa prima opera ufficiale che gli ha permesso di poter viaggiare e studiare nelle accademie più importanti d’Europa.

Negli anni ‘80 era già famoso in tutto il continente europeo, ma la sua ricerca artistica non si è mai fermata, svelando al Mondo, proprio alla fine degli anni ’80, la magia del suono delle pietre. Suono che ha sempre definito come una voce che lui ha semplicemente liberato e che era nascosta all’interno della materia da migliaia e migliaia di anni.

Non ha mai abbandonato la pietra. Si è sempre definito scultore e ha sempre detto “la pietra è la mia sorella maggiore, la scultura la mia sorella minore”.

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(Foto di ©Attila Kleb)

Quale era per lui il significato dell’Arte? Quale bisogno lo muoveva e spingeva a creare?

“Pinuccio diceva: “A 18 anni, alla visita militare, oltre tutte le visite, dovevamo scrivere una frase che delineasse la nostra personalità, allora avevo scritto “Per l’arte la vita”.

La missione mia e dei miei fratelli è quella di tutelare e valorizzare la sua opera materica, ma in particolar modo la sua filosofia di vita. Lui diceva sempre “io spero che un giorno che non conosco le mie opere tornino ad essere parte della natura che le ha generate” e all’interno del Giardino Sonoro queste opere continuano a vivere, cambiando in base alla stagione. Con me si è sempre approcciato dicendomi “la pietra la devi accarezzare come se accarezzassi la tua mamma o un bambino”, quindi con un tocco di grandissimo rispetto. E forse è questo quello che affascina tutti della sua opera, il livello filosofico di enorme rispetto per essa, per la natura e per le Persone”.

Questo, quindi, il profondo e delicato senso di Pinuccio Sciola e le varie forme di arte, amore e rispetto.

Ci vorresti parlare del suo rapporto con la Madre Terra e la natura?

“Nonostante Pinuccio Sciola si sia formato al Liceo Artistico, al Magistero d’Arte di Firenze, a Salisburgo, a Madrid, a Parigi, ha sempre detto “la mia università più importante è stata quella frequentata quando ero giovane, l’università della natura”. Quando sceglieva le pietre, lui raccontava che era come durante una festa in una piazza, quando tu tra tante persone incroci gli occhi di una sola. È propriamente un rapporto d’amore. E allora, nel silenzio della campagna, la toccava con un’altra pietra, la sceglieva e la portava in segheria, dove veniva lavorata con il cerchio diamantato e il getto dell’acqua fredda. Quando era asciutta, lui l’accarezzava e diceva “ho sentito i primi vagiti”. Quasi un vero e proprio travaglio della nascita del suono.”

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(Foto di ©Attila Kleb)

Come è nato il Giardino Sonoro e cosa sono le Pietre Sonore?

“Il Giardino Sonoro era propriamente l’agrumeto di famiglia di Pinuccio Sciola, dove già dagli anni ‘60, come raccontava, iniziava a piantare le sue opere, che all’inizio erano legni di ulivastro.

Con l’aumento della produzione delle opere e con l’arrivo delle Pietre Sonore, il Giardino Sonoro ha iniziato ad essere famoso e riconosciuto in tutto il Mondo e ad essere inserito in tutte le guide turistiche. Quindi le persone vi entravano e provavano a suonare le opere senza sapere come approcciarsi. Così l’idea di musealizzare lo spazio espositivo di Pinuccio Sciola nasce e si concretizza nel 2014, quando io e mio padre iniziamo a portare avanti questo processo.

Ricordo ancora con affetto la prima visita che feci con lui, quando gli chiesi “adesso babbo fai finta che non sono tua figlia, mi accompagni all’interno del Giardino e mi dici esattamente che cosa raccontare ai visitatori”. E lui, camminando, mi disse “la vedi questa?”. Io ero pronta a registrare una spiegazione esaustiva, e lui mi rispose “questa è l’Universo”.

Tra le sue produzioni più famose ci sono sicuramente le Pietre Sonore. Lui diceva “io non ho scoperto niente, ho semplicemente liberato il suono rinchiuso all’interno della materia per migliaia e migliaia di anni”. E quel che noi ora possiamo ascoltare, quella che lui definiva la voce della pietra, ci racconta dei millenni passati…

Le pietre calcaree si formano sott’acqua ed il suono che poi ne deriva è un suono liquido e melodioso. Il basalto, invece, è la pietra che simboleggia le nostre origini, la nostra cultura. Il suo suono è totalmente differente, più profondo. Pare quasi un urlo che viene strappato fuori dalle viscere della terra.

Questo il rapporto di Pinuccio Sciola e le sue Pietre Sonore”.

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(Foto di ©Attila Kleb)

San Sperate è sempre stato importante per tuo padre. Tra i tanti regali che gli ha lasciato in eredità, c’è quello di averlo fatto divenire un Paese Museo. Cosa significa?

“Nel 1968, al rientro dai suoi viaggi studio in giro per il Mondo, l’approdo nel suo paese natio, il ricongiungimento con i suoi cari, con gli amici, lo mise di fronte all’enorme divario culturale che si era lì palesato. Pensava “perché l’arte solo dentro ai musei, solo per pochi eletti? Portiamo l’arte in strada, alla gente, con e per la gente”. Ed iniziò una delle prime rivoluzioni di arte pubblica in Italia, trasformando con gli amici, con artisti provenienti da tutto il Mondo, il paese di San Sperate in un Paese Museo.

Perché è nata la Fondazione Pinuccio Sciola e di cosa si occupa?

“La vita di Pinuccio Sciola è un puzzle da ricostruire, ecco perché un team strutturato lavora su vari fronti, dall’archivio ai progetti futuri, come quello di trasformare la sua casa in una casa museo. Ogni anno un festival di arti visive, Sant’arte, richiama artisti, intellettuali e persone di ogni genere alla partecipazione, che rimane sempre lo scambio migliore. Il Giardino Sonoro prosegue la sua attività rendendo fruibili i suoi spazi. Sciola ha creato delle opere in grado di parlare tutte le lingue del Mondo, con tutte le culture, per tutte le età. La nostra attenzione perché sia e resti un’arte per tutti vede l’utilizzo di storie sociali, di linguaggi in CAA (n.d.r. Comunicazione Aumentativa Alternativa), di visite speciali per persone non udenti e non vedenti. Addirittura, con una associazione sarda abbiamo intrapreso una collaborazione grazie alla quale proprio le persone ipovedenti o non vedenti accompagnano i visitatori.”

Quali difficoltà incontrate, se ci sono, nel vostro lavoro?

“Sicuramente le idee ed i progetti non mancano, ma questi due anni di emergenza sanitaria hanno, ovviamente, colpito duramente tutto il settore culturale e turistico. Speriamo quindi che l’intera economia globale possa riprendersi, perché si comprenda che di arte si può vivere e di bellezza si possa continuare a parlare.”

Il 20 marzo, con l’evento “80ANNI PINUCCIO SCIOLA” la Fondazione renderà omaggio all’artista per festeggiare quelli che sarebbero stati i suoi 80 anni. Ci vorresti parlare di questo evento?

“Pinuccio Sciola è stato un artista del popolo, nonostante la sua immensa produzione e ricca carriera ha sempre trovato il tempo per stare con le persone, per spronarle a dare il meglio di loro. Ricordarlo, in maniera conviviale, nel suo Paese Museo, rende a noi figli la possibilità e l’emozione di vivere dei ricordi di chi l’ha vissuto e amato.”

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(Foto di ©Attila Kleb)

Parlando invece del lato più personale e umano, cosa ha significato per te, e per i tuoi fratelli, crescere e vivere con questa figura paterna? E chi era Pinuccio “padre”?

“Lavo 60 piatti al giorno da quando avevo 6 anni. Siamo cresciuti in una casa che era un porto di mare, fulcro di dibattiti intellettuali e grembo di progetti artistici rivoluzionari. Non abbiamo altri paragoni di padri, perché lui era il nostro, un uomo vulcanico, che coinvolgeva e includeva tutti nei suoi progetti, anche inediti. Mi ha sempre detto “Ma se ce l’ha fatta qualcun altro, perché non dovresti riuscirci tu?”. Ed il suo “non” porsi limiti è il più grande dono che noi figli, oltre il suo grande amore, ci portiamo dietro. È stato un padre presente, nei gesti, nei momenti passati insieme, nelle chiamate giornaliere. Un nonno amorevole. Un babbo che manca, come padre, tutti i giorni. Portare avanti la sua arte è quel che più ci permette di sentirci ancora legati a lui.”

Ti andrebbe di raccontarci un po’ di Pinuccio “uomo”? Nella vita di tutti i giorni?

“Ricordo un giorno, io adolescente, rientravo a casa da scuola e lui aveva appena posizionato tre panchine in pietra basaltica nella piazza del suo vicinato. Tre signori anziani però dibattevano, lamentandosi della posizione e della scelta. Io allora arrivai a casa arrabbiatissima dicendo a mio padre “Scusami babbo, gliele hai posizionate, le hai regalate e loro si lamentano! Allora riprendiamocele”. E lui mi rispose “stai tranquilla, ogni cambiamento crea disturbo”. E ora più che mai mi rendo conto di quanto avesse ragione. Son certa che se andassi a riprendermi quelle panche creerei malumore e delusione. Come i colori dei muri e delle strade, anche esse sono entrate nell’immaginario culturale del paese.

Ancora, ricordo che impazziva quando vedeva curriculum lunghi sei pagine. Lui richiudeva la sua storia in poche parole “Pinuccio Sciola, scultore, nato da una pietra, amante dei fiori, dell’acqua e del sole”.

Ti ringraziamo tanto e ci lasciamo con uno sguardo al futuro: quali sono i progetti e le speranze della Fondazione?

“Pinuccio Sciola ha lasciato circa 200 progetti irrealizzati composti, tra gli altri, da fotomontaggi e testi. Non so se basterà la mia vita o quella di mio figlio. Speriamo di riuscire a trasformare la sua splendida casa in una Casa Museo e di far conoscere ad ancora più persone la sua arte e la sua filosofia di vita. Ho ben chiaro il fatto che la mia vita sia un passaggio, allora la mia e nostra missione ed obiettivo, ad ora, è quella di trasmettere, anche solo oralmente, questo suo immenso amore per la natura, per le persone, per la pietra.”

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