Piergiorgio Pulixi si racconta, intervista allo scrittore poliedrico di noir ora impegnato in nuove avvincenti pubblicazioni letterarie

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Oggi abbiamo intervistato per i nostri Lettori di ProiezionidiBorsa un talentuoso scrittore, noto al grande pubblico per i suoi personaggi graffianti e spezzati. E poi per la sua narrazione avvincente e ipnotica, capace di catturare fin dalle prime righe e catapultare il lettore in un’esperienza in prima persona e a tutto tondo. Le ambientazioni, le musiche, le scene e i personaggi sono raccontati in maniera talmente vivida che sembra di vederli, di viverli quasi, di poterli toccare solo allungando un braccio.

Classe 1982, Piergiorgio Pulixi è giovane, ma ha già al suo attivo una numerosa produzione letteraria di successo. Prevalentemente affermato per i suoi romanzi di letteratura poliziesca e noir, oggi lo conosceremo meglio e scopriremo qualcosa in più sulle sue ultime fatiche letterarie. Restando probabilmente stupiti nel vederlo in una nuova veste autoriale inedita.

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Anzitutto, ti ringraziamo per avere accettato di raccontarti per ProiezionidiBorsa. Come stai? Come stai vivendo questo momento storico e sociale a dir poco “da romanzo”?

“Grazie a voi. Come va… Va bene. Io ho sempre cercato di spostarmi, anche quando eravamo in pandemia, e quindi diciamo che il mio lavoro non si è fermato. Mi sono inventato diverse cose: nel primo periodo, quello più duro, pubblicavo ogni giorno un racconto nuovo, per cercare di intrattenere quantomeno la mia platea di lettori.

È stato un periodo tosto, però forse chi si occupava di intrattenimento, e di arte in generale, ha dovuto reinventarsi e cercare di fare compagnia ai propri clienti e lettori. Sono esperienze in cui impari un sacco di cose, cerchi di rivalutare il tuo ruolo a livello sociale. Ti accorgi per la prima volta che quello che fai effettivamente ha una ricaduta anche sul benessere delle persone, se lo fai bene e in una certa maniera.” Così Piergiorgio Pulixi si racconta ai nostri Lettori.

Tra i tanti tuoi progetti, con Lovers Hotel, nel 2016, hai sperimentato un nuovo canale di comunicazione: qual è la differenza, se c’è, nella creazione un prodotto destinato a diventare un libro scritto ed uno, invece, pensato per essere un’audioserie?

“Sì, è stato un bellissimo progetto, apripista ti direi. È del 2016 e Audible era arrivata da poco in Italia e aveva bisogno di una audioserie, la prima per lanciare la piattaforma, oltre agli audiolibri. Quindi chiesero a Massimo Carlotto e me di scriverla. Adesso ce ne sono tante, è di moda, ma all’inizio non era così. Era un linguaggio totalmente nuovo. Perché quando scrivi un romanzo lo fai per fare immaginare le persone. Quando invece ti dedichi ad un’audioserie ti puoi appellare, in realtà, soltanto ai dialoghi e ai rumori di scena. E questo, come puoi immaginare, è bellissimo, ma è molto complesso. Devi far sì che le battute siano molto veloci, fulminanti e non è stato facilissimo. Mi ha permesso di diventare un dialoghista migliore, più attento alle sfumature, al non detto.”

Digitale, audio, stampata… come immagini il futuro della fruizione letteraria? Come vedi il futuro dell’editoria?

“Le grandi rivoluzioni hanno di certo cambiato l’asset dell’editoria a livello mondiale. Tieni conto che, prima la pandemia e adesso la guerra, hanno portato una grande crisi delle risorse primarie, tra cui la carta. Abbiamo assistito a situazioni in cui per libri che andavano fuori stock si dovessero aspettare mesi prima che ne arrivasse una seconda edizione, perché mancava materialmente la carta. Questo ha fatto sì che tanti lettori si siano avvicinati un po’ di più a mezzi digitali, quindi alla lettura di ebook e audiolibri. Io credo che i prodotti editoriali punteranno sempre di più su una crossmedialità; quindi, da un libro si potrà fare una graphic novel, un film, una serie TV o un podcast. Ma la carta rimarrà, io di questo sono certo, perché un certo tipo di lettori è assolutamente affezionato alla carta.”

Quali sono le difficoltà e quali i vantaggi dello scrivere a quattro, o più, mani? Che esperienza è scrivere col tuo maestro, Massimo Carlotto?

“Un’esperienza incredibile. Il problema è che devi, in qualche modo, cercare di avvicinarti al suo livello, il che non è sempre facile e possibile. Per una questione di talento e anche di esperienza, che io non ho. Però sicuramente confrontarti con un autore così grande ed importante ti costringe, in qualche modo, a dare il meglio di te, quantomeno a provarci. Scrivere a più mani significa in realtà fare un grande bagno di umiltà. Cioè devi dimenticare tutto il tuo egocentrismo e metterti al servizio del gruppo e del libro.

E, quindi, è come se si formasse uno scrittore terzo, che non esiste, perché è la summa dei vari scrittori. E questo è molto bello, ti arricchisce, però è anche molto complesso. Devi cercare di convincere gli altri della bontà delle tue idee senza però prevaricare la loro autorialità. Il segreto è sempre mettere al centro il bene della storia e guardare tutti nella stessa direzione.”

Biagio Mazzeo, Vito Strega, le ispettrici Rais e Croce: personaggi molto diversi tra loro. Ma c’è qualcosa che li accomuna e cosa, fondamentalmente, li contraddistingue?

“Eh, bella domanda! Diciamo che Vito Strega, Eva Croce e Mara Rais possono essere accomunabili perché fanno parte di una nuova fase della mia carriera, Biagio Mazzeo, invece, appartiene un po’ al passato. Quest’anno sono proprio 10 anni dall’esordio con Mazzeo. Biagio era un personaggio borderline, molto oscuro, che mi ha permesso di raccontare la corruzione a 360 gradi. Quindi non soltanto all’interno delle forze di Polizia, ma era uno strumento per raccontare la corruzione in Italia. Però quello che i lettori, secondo me, hanno apprezzato più di tutto è il suo legame con la famiglia. Una famiglia che si era creato intorno, disfunzionale, imperfetta, non di sangue, direi anche asimmetrica nei rapporti che, però, era il suo centro gravitazionale.

Vito Strega è esattamente l’opposto, questi due personaggi sono proprio agli antipodi. È un personaggio buono, di base un filosofo, è un investigatore tormentato e ossessionato da voler a tutti i costi cercare di fare giustizia. Il mio modello, te lo confesso, è stato un po’ Harry Bosch di Michael Connelly, o comunque quel tipo di personaggi. John Rebus di Ian Rankin, ad esempio, Harry Hole di Jo Nesbø, insomma personaggi molto tormentati, bravi nel loro mestiere ma che lo vivono come una missione ed anche come un tormento.

Rais e Croce sono invece la seconda fase, sono personaggi più solari. Sicuramente anche loro combattuti, per certi versi tormentati, soprattutto la Croce, ma con loro ho cercato di portare dentro anche l’ironia ed un po’ di umorismo, proprio per stemperare questa dimensione noir o thriller, che a volte poteva essere soffocante. Quindi, a seconda dei vari personaggi vedi anche l’evoluzione delle storie e del mio rapporto con la letteratura poliziesca.”

È un caso che, in questa evoluzione, la parte diciamo un po’ ironica sia stata affidata a delle donne?

“Non è un caso che ci siano così tante donne, quello di sicuro. Questo perché proprio in maniera scientifica ho voluto raccontare delle donne in queste posizioni che fino a qualche anno fa nell’immaginario collettivo erano appannaggio solo degli uomini. Invece per fortuna il Mondo sta cambiando e secondo me era molto interessante raccontare di poliziotte, di investigatrici. Le donne sono più forti degli uomini quasi in tutti i campi, anche nell’affrontare le ansie del lavoro. L’ironia di Mara Rais in realtà è un’arma, un modo per esorcizzare le ombre. Quindi sicuramente non è un caso, è un segnale di forza da parte delle donne.”

I temi della violenza e della violenza sulle donne sono molto presenti nei tuoi scritti. C’è un motivo in particolare che ti porta a raccontare di questi temi?

“La violenza contro le donne è un tema di cui non avrei mai, in realtà, voluto scrivere. Ho iniziato insieme al collettivo nel 2009, con un romanzo a diverse mani che si intitolava “Donne a perdere” e allora c’erano le prime manifestazioni di questa violenza di genere. Da quell’anno in poi abbiamo assistito a un incremento sempre costante degli episodi di violenza e dei femminicidi e, quindi, ho vissuto quasi come un dovere morale, oltre che sociale, il cercare di fare la cronaca, indagare, capire il perché. Anche perché sono estremamente convinto che alla base di quel tipo di violenza ci sia un problema culturale, cioè che manchi un’educazione sentimentale. Quindi ho sempre cercato di sensibilizzare un po’, nel mio piccolo, attraverso le mie storie.”

Sappiamo che per le tue storie ed i tuoi personaggi ti basi quasi sempre su avvenimenti di cronaca reali. Ma c’è anche qualcosa di te nei tuoi personaggi o in ciò che racconti?

“Cerco di evitare. Ti spiego: se io cercassi le storie dentro di me, quindi rifacendomi alle esperienze personali, dopo pochi romanzi mi ripeterei di continuo, esaurirei velocemente le cose da dire, perché è impossibile per qualsiasi essere umano avere una tale mole di esperienza da poter sostenere una carriera nel mondo dell’intrattenimento. Quindi negli anni ho cercato di sviluppare un altro talento, quello di trovare le storie al di fuori di me, nella società, soprattutto seguendo la cronaca. Parlando con i poliziotti, con i cronisti di nera, cercando di tessere anche una rete relazionale di persone che, magari, lavorano in questi ambienti e che hanno degli aneddoti o esperienze da raccontare.”

Poi, Piergiorgio Pulixi si racconta: “c’è pochissimo di mio. Forse Strega ha delle passioni simili alle mie, per esempio siamo entrambi collezionisti di Simenon o abbiamo gli stessi gusti musicali, però si esaurisce lì la similarità.”

Sei diventato uno scrittore o, in fondo, lo sei sempre stato?

“Probabilmente l’istinto verso il racconto c’è sempre stato, forse veramente sono quelle propensioni naturali con cui nasci. Il segreto è far sì che non sia soltanto una propensione, ma il talento va nutrito, addestrato, coltivato e va disciplinato. Ho avuto la fortuna, sin da giovanissimo, di capire che, se volevo trasformarlo in un lavoro, dovevo prenderlo con molta serietà e studiare con un rigore scientifico. A monte di tutto c’è il fatto di essere un grande lettore, quella è stata la base su cui poi ho potuto lavorare. Grande lettore di fumetti e poi di romanzi. Senza una mole di numerose letture non puoi proprio iniziare, non hai nemmeno gli strumenti per farlo.”

Se lo sai e lo hai capito, perché scrivi?

“Penso di non sapere esattamente il perché. È qualcosa che mi dà molta gioia e credo che, come in tutte le cose, se una cosa ti viene bene e qualcuno ti dice che ti viene bene, allora ti ci impegni di più. Quindi, da una parte scrivo perché mi piace e mi fa sentire bene. Poi alcune persone lo apprezzano e quindi mi fa piacere riuscire a intrattenerle, quella è una grande gratificazione. Ma soprattutto capisco sempre che lo posso fare meglio e a quel punto è un continuo cercare, senza arrivare mai, non dico la perfezione ma la perfettibilità. Un rincorrere anche i miei eroi, i miei idoli, mettermi nella loro scia, sapendo che non li raggiungerò mai probabilmente, però è quello che mi dà la spinta a continuare e l’illusione di poter fare meglio.”

Piergiorgio Pulixi si racconta, intervista allo scrittore poliedrico di noir ora impegnato in nuove avvincenti pubblicazioni letterarie. Raccontaci di questa nuova passione per la letteratura per ragazzi e dell’esordio del romanzo “Il Mistero dei bambini d’ombra”

“Guarda, nasce dall’esigenza di sdebitarmi per tutte quelle volte in cui, quando ero ragazzino, mi sono innamorato della lettura grazie ad alcuni libri. Io credo che il premio più grande che possa ricevere ogni scrittrice e ogni scrittore sia di fare innamorare almeno un ragazzo della lettura. Riuscirci è come vincere un premio Strega. E in più, ti confesso che è una cosa in cui ti diverti veramente tanto. Perché quando scrivi un romanzo per ragazzi puoi dare libero spazio alla tua fantasia, quindi puoi scrivere quello che vuoi, in qualche modo. Questo è molto rilassante, da un certo punto di vista. E mi sto divertendo tantissimo anche a incontrare i giovani lettori, perché sono molto svegli, hanno un sacco di domande, sono pieni di energia e te ne trasmettono un sacco. E questo mi fa veramente bene, come uomo e poi come autore.”

Oltre ad un talentuoso scrittore, chi è, se vuoi dircelo, Piergiorgio Pulixi? Cosa ti appassiona e ti piace? E cosa detesti?

“Detesto la maleducazione, perché secondo me è sempre sinonimo di ignoranza e l’ignoranza è un qualcosa che non tollero più. Per fortuna viviamo in una società dove a tutti viene fornita una base gratuita per poter accedere alla cultura, sia nelle scuole ma soprattutto con le biblioteche. Vedo sempre la maleducazione come una mancanza di cultura di base. Non soltanto in senso super alto, ma anche proprio cultura come conoscenza delle leggi fondamentali della democrazia o del vivere comune, il rispetto del diritto degli altri, il non prendersi la propria responsabilità. Ecco, tutte queste mancanze non mi piacciono.

Non tollero nemmeno, in realtà, per il verso opposto, chi cerca di fare della cultura un qualcosa di elitario. La cultura è un qualcosa che serve per fare avanzare la democrazia, la comunità, l’essere umano, per farlo elevare nel senso più nobile possibile. Quindi tutto ciò che va contro questo e che tende a isolare invece le persone, ad isolare la cultura, lo vedo come un atto nemico proprio della democrazia in generale.

Ciò che invece amo tantissimo è la natura e più vado avanti con gli anni e più mi rendo conto della mia dimensione naturale, mi accorgo di averne bisogno proprio come essere umano. Poi mi piace correre, fare attività fisica all’aperto, ed è praticamente anche un aspetto del mio lavoro. Perché quando corro in realtà penso, mi si libera la mente, riesco a pensare alle storie e a lavorare. È una sorta di meditazione in movimento. E poi la musica. Senza musica probabilmente non riuscirei nemmeno a scrivere, perché è qualcosa che riesce a gettarmi subito in una dimensione dell’animo umano che mi rende più propenso a essere ricettivo e a scrivere.”

Noi ti ringraziamo tanto per questa stimolante ed arricchente chiacchierata. Ti salutiamo chiedendoti quali progetti presenti ti stiano impegnando e quali futuri ti aspettino

“Grazie a voi. I progetti su cui sono più impegnato sono il tour nelle scuole de “Il Mistero dei bambini d’ombra”, quindi incontrare più ragazzi possibile perché, ripeto, è un’esperienza che mi dà tantissima energia, che io metto da parte e tirerò fuori quando sarà il momento di scrivere. Poi, proprio oggi ho ricevuto l’invito al Festivaletteratura di Mantova e avrò il piacere di essere ospite proprio con il romanzo per ragazzi, quindi questo mi fa ancora più piacere. E poi il 31 maggio uscirà il terzo romanzo di Eva Croce e Mara Rais, “Strega” per Nero Rizzoli e quindi, anche lì, tutta l’estate cercherò di fare il tour di promozione di questo poliziesco.”

Lettura consigliata

Pinuccio Sciola e le sue Pietre Sonore, il rispetto per la natura e le persone e l’idea di arte pubblica, con e per la gente

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