Mercati azionari e rialzi dei tassi: le condizioni di equilibrio ed il punto di non ritorno

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A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT

Giorni febbrili negli USA, in attesa delle decisioni della Fed.

Tutti i media finanziari si stanno ormai concentrando su questo tema.

Ma quali sono le condizioni di equilibrio macroeconomiche, perché i mercati azionari possano continuare la salita e l’economia a stelle e strisce non vada in recessione?

Vi dirò la semplice verità: non esiste una risposta, o meglio ne esistono diverse, tante quante sono le opinioni degli analisti.

La mia personale opinione, per semplificare la questione, si basa su un dato di fatto tanto semplice, quanto evidente: tutte le ultime recessioni, e conseguenti inversioni ribassiste del mercato azionario USA, sono state accompagnate/precedute da una curva dei rendimenti dei titoli di stato piatta/ribassista.

Che peraltro si tratti di un elemento non da poco, traspare dallo stesso sito della Fed, che riporta diversi indicatori, tra i quali, non a caso, il differenziale dei rendimenti tra scadenza biennale e decennale, segno che è la Fed in primis a guardare a tale indicatore ed in particolare a questo tratto della curva.

Non posso sapere se l’attuale board darà, questa volta, particolare rilievo, o meno, a tale indicatore nelle proprie decisioni, anche perché le opinioni al suo interno possono rappresentare diversi punti di vista, ma alcuni dati fanno riflettere.

Negli ultimi anni l’inflazione USA non ha mai superato o raggiunto il 3 per cento.

L’attuale rendimento (inteso come tasso di attualizzazione, quello usato nel calcolo della curva dei rendimenti) dei titoli di stato decennali è, guarda caso, di poco sopra il 3 per cento.

Invece l’attuale tasso dei titoli di stato biennali è il 2,82, e questo implica che la differenza tra scadenza decennale e biennale è 0,18.

E’ quindi evidente che un rialzo anche solo dello 0,25 da parte della Fed, potrebbe indurre i mercati (ricordiamo che la curva dei rendimenti si basa su tassi di mercato) a colmare il gap tra scadenza biennale e decennale.

A questo punto, secondo i consueti paradigmi basati su comportamenti storico/statistici, potrebbe generarsi una inversione dei mercati USA di lungo termine.

Ma, visto che anche l’indicatore che mai ha fallito potrebbe anche fallire, soprattutto a seguito di overfitting da indicazione centrata, sarà bene seguire sempre e comunque il seguente consiglio: abbinare all’analisi macro e proiettiva, quella trend following.

Il che, tradotto operativamente, significa: in ogni caso, a prescindere da analisi proiettive e di tipo macroeconomico, seguire indicatori trend following di medio/lungo per cogliere segnali di eventuale inversione.

A maggior ragione, se i tassi verranno alzati di almeno uno 0,25, se a tale tasso seguirà pari innalzamento della scadenza biennale che pareggi il 3 per cento di quella decennale, si incrementeranno notevolmente i rischi di discesa.

E probabilmente il tasso di inflazione che metterebbe a rischio economia e mercati è proprio il 3 per cento.

Proiettivamente questa discesa potenziale potrebbe iniziare il prossimo gennaio o comunque entro tale setup, ed occhio, quindi, soprattutto ad un segnale da confermare sia su S e P 500, sia su Dow Jones industrial, di una prima chiusura mensile sotto il minimo della precedente barra sul medesimo time frame.

Guarda caso, questo segnale non si è verificato nel corso della correzione cominciata a gennaio 2018, in quanto non su tutti gli indici abbiamo assistito ad una tale conferma.

In alternativa, le condizioni per cui la curva dei rendimenti darebbe indicazione inefficace, sarebbe la previsione di un incremento degli utili e del cash flow aziendale, cioè utili + costi non monetari, tale da superare un tasso del 3 per cento.

A questo punto, però, dobbiamo dire attenzione, perché la quasi totalità degli analisti vede ormai raggiunto il picco della possibilità aziendale di generare utili di bilancio, sia in versione tradizionale, che corretta con i cosiddetti costi non monetari, e tipica dell’utilizzo nei modelli di discount cash flow.

E’ quindi, anche per questo motivo, probabile che anche questa volta le indicazioni della curva mantengano intatta tutta la loro valenza predittiva.

Sintetizzando: visto l’attuale tasso del 3 per cento sulla scadenza decennale, un rialzo dell’inflazione oltre tale livello sarebbe rischioso, ma altrettanto rischioso sarebbe un incremento dei tassi da parte della Fed anche solo dello 0,25, nel caso i mercati a tale aumento facessero seguire una dinamica volta a colmare il gap tra rendimenti biennali e decennali.

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