Complici una serie di fattori, l’oro ha iniziato da gennaio una corsa sfrenata. Corsa che, però, non l’ha portato sul gradino della vittoria. Ecco chi fa meglio dell’oro.
Non è tutto oro ciò che luccica
L’attacco agli impianti di raffinazione del petrolio saudita ha fatto scappare gli investitori verso i beni rifugio. Questo perchè, mentre si osserva l’alzarsi della tensione tra Usa e Iran, non bisogna dimenticare il destino del petrolio. Infatti l’attacco ha portato l’Arabia Saudita a dover bloccare circa la metà della sua produzione giornaliera. Proprio mentre si tenta di riuscire a stabilizzare il mercato petrolifero. Risultato: di fronte alle tante incertezze, le borse iniziano a cadere e a orientarsi verso un generale sell off. A tutto vantaggio dell’oro, visto come bene rifugio per eccellenza. E che da qualche settimana era già sotto i riflettori proprio per le incertezze derivate, finora, dallo scontro di Washington con Pechino. Ma non sembra sufficiente tutto questo per portare l’oro sul podio dei metalli preziosi C’è infatti chi è riuscito a registrare una performance migliore.
Il confronto è impietoso
L’oro spot è salito dell′1,27% a $ 1,507,40 l’oncia. Parallelamente l’argento spot ha guadagnato il 2,96% a $ 17,94 l’oncia. Il motivo? Partiamo subito con il ricordare che mentre l’oro riveste comunque il ruolo di metallo prezioso e, all’interno del portafoglio, anche di garanzia contro i mercati nervosi, l’argento va oltre. Infatti il fratello minore dell’oro può sfruttare il vantaggio di essere utilizzato nella produzione di prodotti elettronici di consumo e nel settore industriale, come i pannelli solari. Ma non è solo la questione petrolifera che tiene banco. Anche la Cina, recentemente, ha avvisato di una serie di difficoltà nel poter riuscire a raggiungere quel target di crescita che si era prefissato a inizio anno.
Paura cinese
In una recente intervista il premier cinese Li Keqiang ha affermato che è “molto difficile” per la seconda economia del mondo mantenere un tasso di crescita pari o superiore al 6%. Il problema nasce dal fatto che il 6% è in realtà la parte bassa del range iniziale, fissato a suo tempo tra il 6-6,5%. In altre parole Pechino rischia di non ottenere nemmeno il minimo che si era preposta di fare. Una dichiarazione che, in realtà, non è altro che il suggello di qualcosa che, ufficiosamente, era già stata detta dai numeri. Gli ultimi, in ordine di tempo, quelli riguardanti la produzione industriale. Ad agosto, infatti, è cresciuta del 4,4%. La peggiore in 17 anni.
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