Lo Stato è socio pubblico, legittimato all’esercizio dell’azione di responsabilità contro amministratori e sindaci, per atti di mala gestio, a seguito di confisca, in sede penale, di partecipazioni societarie. Parola alla Cassazione

Cassazione

Lo Stato è socio pubblico, legittimato all’esercizio dell’azione di responsabilità contro amministratori e sindaci, per atti di mala gestio, a seguito di confisca, in sede penale, di partecipazioni societarie. Parola alla Cassazione. Studiamo il caso.

La legislazione antimafia ha predisposto un coacervo di misure, di natura penale e amministrativa, di contrasto al crimine organizzato, a tutela dell’ordine pubblico economico e della libera concorrenza tra le imprese, ai sensi dell’art. 41 Cost. Il complesso delle disposizioni normative antimafia sottende il rilievo dell’influenza delle organizzazioni mafiose sull’attività d’impresa, nella duplice veste della “contiguità soggiacente” o della “contiguità compiacente”.

Segnatamente, l’attività d’impresa può essere, anche indirettamente, fortemente condizionata dai crimini organizzati o agevolarne, essa stessa, la commissione.

In tale contesto normativo si inseriscono una serie di misure cautelari, tra le quali il sequestro dei beni, comprese le partecipazioni societarie che ne facciano parte, nonché la successiva confisca delle medesime e dei beni, che risultino frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. In particolare, la confisca delle partecipazioni societarie è applicata quando la persona fisica o giuridica ne risulti titolare, anche per interposta persona, o risulti averne la disponibilità, a qualsiasi titolo, in valore sproporzionato rispetto al proprio reddito dichiarato o alla propria attività economica.

L’ordinamento positivo distingue, per vero, la confisca, quale misura di prevenzione patrimoniale, nel senso sopra precisato e quale misura di sicurezza reale, intendendosi, in tale seconda accezione di significato, un provvedimento ablativo dei diritti del condannato e di quelli gravanti sul bene confiscato, obbligatoria ex lege, ai sensi dell’art. 240 cod. pen..

Lo Stato è socio pubblico, legittimato all’esercizio dell’azione di responsabilità contro amministratori e sindaci, per atti di mala gestio, a seguito di confisca, in sede penale, di partecipazioni societarie. Parola alla Cassazione

L’acquisto, da parte dello Stato, di un bene sottoposto a sequestro e confisca, sia essa a titolo preventivo-patrimoniale, sia essa da intendersi quale misura di sicurezza reale, successiva alla sentenza definitiva di condanna, è a titolo originario e   non derivativo. Si tratta, sostanzialmente, del medesimo effetto che si produce in caso di espropriazione, laddove l’acquisto della proprietà è, appunto, a titolo originario, non verificandosi alcun fenomeno successorio, né a titolo universale, né a titolo particolare.

Nell’ipotesi della confisca penale, tale effetto è tanto più giustificato, trattandosi di un acquisto da parte dello Stato senza corrispettivo, a soli fini di contrasto alla criminalità organizzata.

Perchè lo Stato è socio pubblico?

La confisca costituisce, quindi, un modo di acquisto della proprietà a titolo originario, con conseguente successione ex lege dello Stato nella titolarità dei beni, dopo l’accertamento del reato.

In particolare, mediante la confisca in sede penale, si opera la perdita, in capo al condannato, non solo dell’amministrazione e della diponibilità della partecipazione sociale, ma della proprietà di questa.

Nella confisca antimafia, inoltre, il bene confiscato, ovvero la quota rappresentativa dell’intero capitale sociale, viene attribuito ab origine allo Stato, a titolo di proprietà e viene gestito tramite l’ANBSC, l’Agenzia Nazionale per la destinazione e l’Amministrazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, con specifici obblighi. Trattasi di un ente ausiliario della Magistratura, che, nella fase del sequestro preventivo e della confisca successiva alla sentenza di primo grado, soggiace alle sue direttive, limitandosi a gestire il bene, quale amministratore giudiziario delle quote; in quella, invece, della confisca definitiva, quando il bene viene trasferito nella titolarità dello Stato, l’Agenzia conserva i poteri di gestione e amministrazione che le competono.

Il legislatore, in buona sostanza, nelle confische antimafia, ha ritenuto non sufficiente, al fine di tutelare l’ordine pubblico, la gestione ordinaria propria di un patrimonio statico, quale quello proprio dell’Agenzia del Demanio, ritenendo necessario un Gestore nazionale e specializzato, l’ANBSC, con competenze professionali ed autonomia organizzativa.

Sotto il profilo strettamente civilistico, quindi, l’Agenzia, assume la veste di “Gestore”, mentre lo Stato quella di “Socio pubblico”.

Ne deriva ulteriormente che quest’ultimo può agire, ai sensi dell’art.  2476 c.c., comma 3, contro i soci e gli amministratori di società, per fatti di mala gestio ed omesso controllo. Si tratta, in buona sostanza, della medesima azione di responsabilità spettante alla società e al socio, contro gli esponenti aziendali, per conseguire il risarcimento dei danni arrecati sia alla persona giuridica, sia al socio.

E’ quanto avvenuto nell’ambito del caso sottoposto all’esame della Suprema Corte, deciso con sentenza n. 191 del 5 Gennaio 2022, Sez. I Civile.

In particolare, all’origine del procedimento per cassazione, l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati dalla criminalità organizzata ed il Ministero dell’economia e delle Finanze hanno proposto l’azione di responsabilità del Socio, ai sensi degli art. 2476, comma 3 e 2407 c.c., per i danni cagionati alla società, contro gli ex amministratori ed ex sindaci della S.r.l., le cui partecipazioni sociali erano state confiscate in danno dei soci, in relazione a reati di criminalità organizzata. L’ANBSC ha, altresì, domandato il risarcimento del danno in proprio favore, con riguardo al pregiudizio non patrimoniale alla reputazione. Costituitisi in giudizio, i convenuti, hanno chiesto la “chiamata in causa degli stessi attori”, al fine di proporre contro questi ultimi, una domanda di manleva, sul presupposto della loro ritenuta corresponsabilità o responsabilità esclusiva, rispetto ai fatti di causa.

Autorizzata la chiamata, l’Agenzia ed il MEF hanno depositato ulteriore comparsa di risposta.

Nel corso del giudizio, il Tribunale di primo grado, Sezione Specializzata per le imprese, ha ravvisato un “conflitto d’interessi”, tra l’interesse della società e quello dei convenuti in regresso, con conseguente incompatibilità dell’Avvocatura dello Stato a difendere l’ANBSC e il MEF e con assegnazione di un termine per la nomina di “Un difensore proveniente da un libero foro”.

Gli attori hanno domandato la revoca del provvedimento, sul presupposto della ritenuta illegittimità dello stesso, confermato, invece, dalla successiva ordinanza, avverso la quale, infine, l’Agenzia Nazionale ed il Ministero dello sviluppo Economico hanno proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost.

Con la sentenza in oggetto, l’Organo di Nomofilachia ha affermato l’inammissibilità del ricorso, con delle motivazioni giuridiche di carattere tecnico processuale, afferenti alla dinamica del processo civile, che, tuttavia, rilevano sotto il profilo sostanziale del diritto civile societario, nella misura in cui presuppongono determinati postulati. Segnatamente, la ratio sottesa alla statuizione de quo, va ravvisata nella qualificazione dello Stato, che abbia esercitato l’azione di responsabilità nei confronti degli ex amministratori e soci di S.r.l, a seguito di confisca, in sede penale, delle partecipazioni societarie, per reati di criminalità organizzata, quale Socio “Pubblico”.

Da tale assunto, la Suprema Corte fa derivare il principio processuale secondo il quale: la “chiamata in giudizio” della stessa parte attrice (Socio pubblico), ad opera degli esponenti aziendali convenuti, che ne alleghino la corresponsabilità per i danni cagionati alla società, non rientra nella fattispecie di cui all’art. 106 c.p.c.

Per contro, essa costituisce una domanda riconvenzionale, ai sensi dell’art. 167, comma 2, c.p.c., da proporre, a pena di decadenza, nella comparsa di costituzione e risposta.

La massima di diritto enunciata, per quanto apparentemente afferente ad istituti di carattere processual civilistico, assume una rilevanza estrema in ambito commerciale, societario, sostanziale in senso lato, nella misura in cui accorda al socio “Pubblico” le stesse tutele alle quali è preordinata l’azione di responsabilità di matrice civilistica e privatistica.

Lo Stato e i suoi ausiliari, come l’ANBSC, sono qualificabili “Soci” agli effetti delle disposizioni civilistiche, disciplinanti l’azione di responsabilità per atti di mala gestio, nonché e parallelamente agli effetti di quelle penalistiche, in tema di misure antimafia e repressive della criminalità organizzata.

La sentenza in commento interpreta, armonizzandole, le norme civilistiche, penalistiche e processuali ( civili e penali) che permeano il nostro ordinamento giuridico, attribuendo all’insieme delle stesse una connotazione sempre più pubblicistica: Nasce la nozione di socio “Pubblico”, lo Stato, quale acquirente, ab origine ed ex lege delle quote sociali confiscate in sede penale.

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