L’eurozona è una area valutaria ottimale?

BCE

L’eurozona è una area valutaria ottimale? Questo quesito è stato posta sin dalle origini dell’euro e non ha ancora trovato una risposta univoca tra gli esperti di economia monetaria. Dal punto di vista storico, la teoria delle aree valutarie ottimali fu sviluppata dal premio Nobel Robert Mundell nel 1961 e intese offrire una spiegazione al motivo per cui è auspicabile, per paesi che hanno dei flussi commerciali molto stretti tra loro e in presenza di libera mobilità dei capitali, adottare un’area in cui vige un regime di tassi di cambio fissi o una unione monetaria.

In particolare un’area valutaria è definita “ottimale” se: gli shock asimmetrici in grado di colpire i paesi membri sono rari o hanno effetti ridotti; se vige un regime di piena flessibilità dei prezzi e dei salari.

Se le economie dei paesi membri sono molto integrate dal punto di vista degli scambi commerciali, e in presenza di piena mobilità dei fattori produttivi.

L’eurozona, dal trattato di Maastricht in poi, è stata costruita in un modo tale da poter rispettare tutte queste condizioni: è un mercato aperto, di libero scambio, con delle economie sempre più integrate ma dove non esiste ancora, tuttavia, una piena flessibilità di salari e prezzi in maniera tale da adeguarsi agli shock asimmetrici che colpiscono i vari paesi. Neppure esiste una perfetta mobilità del fattore lavoro, dal momento che un mercato europeo perfettamente funzionante ancora non esiste, per effetto di vincoli linguistici, culturali, eccetera.

Oltre a questo, l’eurozona, per come è stata costruita attualmente, non presenta della caratteristiche ottimali per quanto riguarda l’architettura delle politiche economiche che la reggono.

Da una parte, infatti, i trattati europei prevedono esplicitamente un modello di banca centrale indipendente nella conduzione della politica monetaria, nonché una clausola “no bail out” per i debiti degli stati, dal momento che gli stessi trattati vietano la possibilità per la banca centrale di monetizzare i debiti pubblici degli stati membri e che, nel corso degli anni, l’eurozona si è dotata di meccanismi di aiuto finanziario, come il MES, in grado di intervenire in situazioni di default del debito sovrano.

Il problema nasce dal fatto che, affinché le condizioni di indipendenza della BCE e la clausola di “no bail out” possano valere simultaneamente, sarebbe necessario che gli obiettivi di politica di bilancio degli stati membri, vale a dire i livelli obiettivi di deficit e di debito e la politica fiscale da attuare, venissero decisi a livello sovranazionale, ovvero dalla Commissione Europea.

Ad esempio, dovrebbe essere la Commissione a decidere a quale livello un paese deve fissare il rapporto deficit/Pil per l’anno x, senza che i governi possano intervenire nella decisione. Come sappiamo, questo non avviene.

E proprio perché questo non avviene, l’effetto è quello della creazione di un forte azzardo morale da parte degli stati membri di indebitarsi eccessivamente, scaricando poi l’onere del debito sugli altri stati, oppure sulla BCE, costretta ad adottare politiche di salvataggio come quella adottata nell’ultimo decennio attraverso il Quantitative Easing, ovvero il maxi programma di acquisto dei titoli di stato. E’ evidente che, in presenza di questa situazione, la BCE non è libera di perseguire una politica monetaria indipendente, volta esclusivamente a concentrarsi sulla variabile inflazione.

Nella letteratura economica si parla di “cannibalizzazione” della Banca centrale da parte dei governi.

Il rischio è quindi quello di cadere in una situazione di “impossibile trinità”, ovvero di avere contemporaneamente una banca centrale indipendente, una clausola di “no bail out” e una sovranità di bilancio per tutti gli stati membri. Una politica monetaria “cannibalizzata” dalla politica di bilancio potrebbe portare, prima o poi, ad un ambiente inflazionistico e alla necessità di effettuare salvataggi permanenti da parte della BCE.

Gli stati membri dell’UE non sono disposti, ora come ora, a rinunciare alla loro sovranità fiscale, la soluzione per rendere ottimale l’eurozona. Secondo la logica della “impossibile trinità”, questa ritrosia rende la situazione dell’intera eurozona insostenibile. Di conseguenza, l’eurozona potrebbe presto trovarsi di fronte alla seguente scelta: espellere i paesi sovraindebitati, oppure adottare e far rispettare rigorosamente delle regole fiscali molto severe per rendere sostenibili le finanze pubbliche.

L’eurozona è una area valutaria ottimale?

L’espulsione di un paese sovraindebitato dall’UEM è giuridicamente impossibile al momento, ed anche se lo fosse, l’espulsione avrebbe conseguenze negative per le banche, le imprese, e l’Europa in senso lato. L’opzione del default pilotato, provocherebbe, invece, enormi problemi per il sistema bancario internazionale, specialmente per quegli istituti di credito che detengono elevate quantità di obbligazioni sovrane del paese inadempiente (effetto contagio).

Lo scenario che si potrebbe delineare è quello in cui, nel lungo periodo, gli investitori mettano sotto pressione i paesi altamente indebitati, chiedendo loro rendimenti più alti. Questo potrebbe portare presto al ritorno di un tipo di disciplina fiscale che i trattati internazionali non sono attualmente in grado di promuovere, ovvero a quello che, con una locuzione che appare spesso una trappola semantica, molti detrattori delle regole fiscali europee chiamano “austerity”.

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