L’autotutela non costituisce un mezzo di tutela sostitutivo dei rimedi giurisdizionali

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L’autotutela non costituisce un mezzo di tutela sostitutivo dei rimedi giurisdizionali. Studiamo il caso.

La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 19365 del 17/09/2020, ha chiarito i termini di impugnabilità del diniego di autotutela da parte dell’Agenzia delle Entrate. Nella specie, il contribuente aveva impugnato il diniego di autotutela avverso un avviso di rettifica IVA. Tale diniego riguardava un provvedimento ritenuto legittimo con sentenza definitiva della stessa Cassazione. Contro cui era poi stato proposto giudizio di revocazione, che aveva confermato la legittimità dell’atto impugnato. Avverso tale sentenza, infine, il contribuente proponeva ricorso per Cassazione. Infatti si chiedeva la remissione della questione alla Corte di Giustizia europea  deducendo che la CTR aveva mal compreso la vicenda.

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La decisione

Secondo la Suprema Corte la censura era infondata. Per quanto di interesse, i giudici di legittimità evidenziano che l’autotutela non costituisce un mezzo di tutela sostitutivo dei rimedi giurisdizionali. Rileva la Cassazione che il sindacato giurisdizionale sul diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione. E questo comunque in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che possano giustificare l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria.

Altrimenti, del resto, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa, o, come nel caso in esame, un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo. A tali fini, conclude la Cassazione, non vale proporre generiche doglianze relativa a profili costituzionali o comunitari. Le ragioni di interesse generale che consentono il sindacato sul diniego di autotutela non ricorrono infatti laddove il contribuente deduca, in astratto, la violazione del principio di capacità contributiva.

Osservazioni

In conclusione, si deve  dunque escludere che il contribuente possa contestare vizi dell’atto impositivo che avrebbe potuto e dovuto far valere in sede di impugnazione, prima che questo divenisse definitivo. Vero è che l’elencazione degli atti impugnabili deve essere interpretata alla luce delle norme costituzionali di buon andamento della PA e di tutela del contribuente (art. 24 e 53 Cost.).

E vero è che si deve riconoscere la impugnabilità di tutti gli atti che portino a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, compresi i provvedimenti di diniego autotutela.

Ma la sussistenza dell’interesse generale all’esercizio dell’autotutela, correlata alla corretta esazione dei tributi, deve anche tenere conto della stabilità dei rapporti giuridici, che sarebbe compromessa dall’annullamento di un atto inoppugnabile. L’istanza di autotutela del contribuente, quindi, non determina per l’Amministrazione alcun obbligo giuridico di provvedere, o di agire comunque nel senso prospettato dal contribuente stesso. E, come visto, il sindacato sul diniego, riguardando appunto un’attività discrezionale, deve comunque riguardare la legittimità del rifiuto e non la fondatezza della pretesa. Non può infatti escludersi che, trattandosi di attività procedimentalizzata, anche il provvedimento di diniego di autotutela possa essere affetto dai vizi di legittimità propri degli atti amministrativi. Ma tali vizi non possono sovrapporsi ai vizi di merito fatti valere con i motivi del ricorso proposto avverso l’atto impositivo, venendosi altrimenti a determinare un’inammissibile duplicazione di tutele.

 

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