L’Agenzia delle Entrate può chiedere l’Iva dovuta dalla s.a.s. al socio il cui recesso non sia stato adeguatamente pubblicizzato

Agenzia delle entrate

L’Agenzia delle Entrate può chiedere l’Iva dovuta dalla s.a.s. al socio il cui recesso non sia stato adeguatamente pubblicizzato. Studiamo il caso.

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 18829 del 10/09/2020, ha chiarito rilevanti profili in tema di recesso del socio contribuente. Nella specie, l’Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale nell’ambito di un contenzioso su cartella di pagamento. L’Agenzia aveva chiesto il pagamento dell’IVA 2012, dovuta da una s.a.s., di cui il contribuente era socio accomandatario. L’Amministrazione finanziaria sosteneva che essa non avrebbe dovuto in realtà formulare alcuna specifica censura in appello circa l’inopponibilità della cessione della quota societaria da parte del contribuente. Tale cessione derivava infatti da atto notarile non iscritto nel registro delle imprese e quindi non era opponibile ai terzi. Pertanto in capo al contribuente, socio accomandatario, non essendo opponibile la cessione della quota societaria, permaneva l’obbligo di versare l’IVA inevasa dalla società.

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La decisione

Secondo la Suprema Corte, la censura era fondata. Rileva la Cassazione che il recesso del socio di società di persone, di cui non sia stata data pubblicità ex art. 2290, comma 2, c.c., non è opponibile ai terzi. Tale recesso non produce quindi i suoi effetti al di fuori dell’ambito societario, dovendosi considerare ancora in essere il rapporto societario nei confronti dei terzi, fra cui anche l’amministrazione finanziaria. Conseguentemente il recesso fatto dal contribuente non era idoneo ad escludere la legittimità della richiesta di pagare l’IVA dovuta dalla s.a.s.. In tali casi è pertanto pacifico che l’Agenzia delle Entrate può chiedere l’Iva dovuta dalla s.a.s. al socio il cui recesso non sia stato adeguatamente pubblicizzato.

Osservazioni

Si ricorda che il beneficio d’escussione, previsto dall’art. 2304 c.c. ha efficacia limitatamente alla fase esecutiva. Il creditore sociale non può dunque procedere coattivamente a carico del socio se non dopo avere agito infruttuosamente sui beni della società. Ma ciò non impedisce allo stesso creditore d’agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio. Del resto, se il socio è accomandatario, ex. art. 2313 c.c., egli avrà la responsabilità illimitata e solidale dei debiti sociali. E ciò diversamente da quanto avviene per i soci accomandanti, per i quali la medesima norma prevede il limite massimo della quota conferita.                   

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