La teoria della transitorietà dell’inflazione sembra definitivamente avviata verso la sua esaustione

Federal Reserve

La recrudescenza inflazionistica che l’economia globale sta soffrendo è iniziata nella primavera di quest’anno, allorché i prezzi alla produzione, all’ingrosso e al dettaglio, hanno incominciato a crescere in tutto il mondo a tassi superiori di quelli pre-pandemici. Ben note sono le cause: crescita della domanda di beni e di servizi nella fase di ripresa pre-pandemica, strozzature dal lato dell’offerta, difficoltà negli approvvigionamenti di materie prime e semilavorati, fenomeni speculativi ravvisati soprattutto nei settori delle commodities. Fin da subito, i policy-maker hanno reagito al fenomeno inflazionistico descrivendolo come “transitorio” o “temporaneo” ma rifiutandosi sempre di specificare cosa si intendesse esattamente con questi due aggettivi.

Le Banche centrali

Essendo reputato temporaneo, l’aumento dei prezzi non è stato affrontato da subito con politiche monetarie restrittive, in particolare con l’aumento dei tassi di interesse, la misura di policy tipicamente adottata dalle Banche centrali in casi come questi. Con il passare dei mesi, tuttavia, è apparso sempre più evidente come le previsioni dei banchieri centrali, soprattutto quelli della Federal Reserve e della Banca Centrale Europea, risultassero troppo ottimistiche. La settimana scorsa, per la prima volta, abbiamo avuto l’impressione che qualcosa sta cambiando nella percezione dei policy maker a riguardo del fenomeno inflazionistico.

La teoria della transitorietà dell’inflazione sembra definitivamente avviata verso la sua esaustione

Per quanto riguarda l’Europa, il riconoscimento che l’inflazione, soprattutto quella derivanti da costi energetici e da strozzature dal lato dell’offerta, costituisca una vera e propria minaccia alla ripresa dell’Unione è stato fatto direttamente dalla Commissione Europea, che nelle sue previsioni autunnali ha lanciato un avvertimento sul rischio che queste due variabili possano minacciare la ripresa dalla pandemia nel Vecchio Continente, nonostante abbia rivisto al rialzo le stime di crescita del PIL per molti Stati membri. In particolare, le difficoltà logistiche negli approvvigionamenti di materie prime e semilavorati sta provocando danni enormi in Germania, dove il settore automotive ha subito un pesante contraccolpo. Secondo la Commissione, la ripresa nella domanda è stata così forte che l’offerta sta faticando a mantenere il passo.

Inoltre, Bruxelles ritiene che le interruzioni che si stanno osservando nel settore logistico, unite alla carenza di semiconduttori e di materie prime, stiano creando enormi problemi all’industria europea. Resterà da capire, adesso, se anche la BCE, tradizionalmente la più “colomba” tra tutti i policy-maker nel riconoscere la natura permanente della recrudescenza inflazionistica in corso, si adeguerà alla posizione della Commissione, abbandonando la sua posizione tipicamente “negazionista”, che ormai appare sempre più difficile da difendere.

Negli Stati Uniti la situazione va anche peggio. L’indice dei prezzi al consumo è salito, infatti, nel mese di ottobre, del +6,2% su base annuale, il tasso più alto degli ultimi trent’anni, in forte aumento rispetto al mese precedente (+5,4%). L’incremento è stato dovuto soprattutto alla crescita dei costi per l’energia (+4,8% su base mensile), mentre la componente della benzina è salita del +6,1%. Anche gli alimentari, le spese per gli alloggi e per i veicoli usati hanno contribuito significativamente all’aumento.

L’approccio della FED

L’aumento superiore alle attese dell’inflazione sta cominciando a destare forti preoccupazioni, tanto che il presidente Joe Biden è stato costretto a dichiarare pubblicamente che l’inversione del trend inflazionistico diventerà una priorità assoluta per la sua amministrazione, esortando il Congresso ad approvare al più presto la sua legge di spesa da 1,75 trilioni di dollari per contrastare il caro energia. La dichiarazione di Biden ha immediatamente fatto rivedere al rialzo le aspettative dei mercati su una stretta monetaria da parte della FED prima del previsto.

La stessa Banca centrale, inizialmente molto avversa a ritenere duraturo il fenomeno inflazionistico, è stata costretta, la scorsa settimana, a rivedere le sue posizioni, in concomitanza con l’annuncio del suo piano per iniziare a ridurre il suo programma di acquisti di asset da 120 miliardi di dollari al mese. Se davvero questa dovesse essere la nuova intonazione di politica monetaria della FED, c’è da attendersi forti movimentazioni sui mercato dei Treasuries e sul dollaro. In ogni caso, con gli interventi della Commissione Europea e del presidente Biden della scorsa settimana, la teoria della transitorietà dell’inflazione sembra definitivamente avviata verso la sua esaustione.

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