La ripresa post pandemica in corso potrebbe già dover affrontare un rallentamento

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La ripresa post pandemica in corso potrebbe già dover affrontare un rallentamento, se non proprio una fermata, a causa dei colli di bottiglia che si stanno verificando nelle catene globali del valore e dell’inatteso ritorno dell’inflazione. L’impossibilità da parte di molte industrie di soddisfare tutta la domanda di beni e servizi sta, infatti, producendo molte difficoltà impreviste, che secondo molti esperti saranno destinate a durare fino al 2023. Con buona pace di coloro che speravano in una ripresa duratura dell’economia.

I segnali relativi al peggioramento nei problemi che sta soffrendo l’offerta globale di beni sono evidenti: penuria di componenti, aumento dei prezzi delle materie prime, stop temporanei a molti siti produttivi, che non sono più in grado di produrre per mancanza di componentistica o per colpa dei prezzi di energia e gas che non rendono più conveniente continuare la produzione. Il miglioramento della crisi pandemica ha, infatti, generato una richiesta massiva di prodotti finiti, semilavorati e materie prime.

Purtroppo, a fronte di una domanda in forte aumento, l’offerta non è riuscita a tenere il passo.

Molti paesi, soprattutto asiatici, sono, infatti, ancora alle prese con lockdown locali o restrizioni parziali legate alla situazione sanitaria e le aziende non sono così riuscite a ritornare a produrre a pieno regime. Un altro grande ostacolo alla crescita è rappresentato dal mismatch nel mercato del lavoro, dove si sta registrando, dagli Stati Uniti all’Europa, un apparente paradosso: le imprese stanno offrendo milioni di posti di lavoro che però non riescono ad essere riempiti, e milioni di lavoratori sono disoccupati, alla ricerca di una occupazione che però non trovano.

Un paradosso, però, soltanto apparente, poiché le cause di esso sono in realtà ben note. La pandemia ha creato, infatti, una “nuova normalità”, fatta di nuovi modi di lavorare (lo smart working pervasivo è l’esempio più lampante), nuovi lavori e nuove relazioni sociali, per via delle quali molti lavoratori sono risultati essere “obsoleti” per il nuovo mercato del lavoro. Riempire questo gap richiederà molto tempo.

La ripresa post pandemica in corso potrebbe già dover affrontare un rallentamento

I colli di bottiglia dell’industria, soprattutto quella manifatturiera, hanno poi spinto il tasso di inflazione verso nuovi massimi pluriennali, tanto negli Stati Uniti quanto in Europa. L’aumento dei prezzi che si sta osservando in tutti gli stadi della filiera (produzione, ingrosso e dettaglio) potrebbe presto costringere le banche centrali a restringere la loro stance di politica monetaria, ovvero a cessare il programma di acquisti di titoli di stato (Quantitative Easing) e ad aumentare i tassi d’interesse, con effetti dirompenti tanto sull’economia reale, quanto sui mercati finanziari, soprattutto in asset class quali bond e azioni.

Il caos che si sta osservando nei porti, soprattutto quelli orientali, sta poi esacerbando ulteriormente la situazione. I costi di spedizione via mare sono aumentati a dismisura dall’inizio dell’anno, addirittura quintuplicati nella tratta Cina – America del Sud. Senza contare che fuori dai principali porti cinesi ci sono code ormai di una settimana per poter attraccare. Gli esperti ritengono che il problema sarà risolto soltanto nel 2023.

Qualcuno, più ottimista, spera nel 2022.

In ogni caso, si parla di una situazione destinata, nell’ipotesi più ottimistica, a durare ancora diversi mesi. Una condizione, quella in cui versa attualmente la logistica internazionale, che potrebbe esacerbare ulteriormente il problema dell’inflazione, creando uno shock dal lato dell’offerta paragonabile alla natura, anche se non ancora alla magnitudo, di quello che si verificò negli anni Settanta e che portò, anche per colpa degli errori compiuti dai policy-maker del tempo, ad un fenomeno chiamato “staglazione”, definita come una situazione economica caratterizzata da mancanza di crescita in presenza di inflazione, oppure, aggiungendovi un nesso di causalità, da mancanza di crescita “per via” della presenza di inflazione. Inflazione che, se sottovalutata, potrebbe quindi essere la causa principale della prossima crisi mondiale. Combattere quella dovrebbe allora diventare il primo obiettivo dei policy-maker. E’ necessario affrontare subito il problema, prima che l’aumento dei prezzi sfugga definitivamente al controllo dei decisori politici.

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